Anche in questa in questa V Domenica di Avvento, la nostra Liturgia ambrosiana si focalizza sulla relazione tra il Battista e il Messia. Il tema di fondo, abbastanza ovvio e risaputo, è il rimandare del Battista al Messia; il suo essere precursore ed anfitrione di Lui. Ma, anche oggi, nel Vangelo di Giovanni troviamo il tema drammatico della nostra difficoltà a riconoscere questo Messia “In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me, ed era prima di me”. Come sempre, le affermazioni giovannee devono essere lette a più livelli. In questo caso, il più immediato, fa riferimento al fatto che le folle ancora non hanno identificato il Messia con Gesù di Nazareth; ma il rimando a “colui che viene dopo di me, ed era prima di me” ci fa capire che per Giovanni questo riconoscimento non può ridursi ad un fatto formale e materiale.
Prendendo spunto da questa provocazione di Giovanni e senza la pretesa di esaurirla, vorrei allora lasciarmi provocare dal testo di Isaia, che, delineandoci le caratteristiche del Messia che verrà, di fatto ci aiuta a capire chi è Gesù, in quale prospettiva Egli ha inteso e realizzato il suo essere Messia, Unto, del Padre.
Il brano, famoso, che ci viene proposto, è come diviso in due parti: la prima, vv. 1-5, ci dice “chi è e cosa fa il Messia”; la seconda, vv. 6-10 ci presenta i frutti della Sua azione: quella palingenesi, quel rinnovamento radicale della realtà, che è poi uno dei modi biblici per dire lo Shalom, la Pace piena e definitiva. Tutto ciò non può essere inteso come un fatto puntuale, che avviene, miracolosamente, in un determinato momento. Le realtà presentate in questi versetti sono, ovviamente, delle mete ideali, che ci vengono presentate per farci capire come il Padre, attraverso il suo Messia, agisce nella storia, ben sapendo che il compimento di tutto ciò avverrà “oltre la Storia, oltre il Tempo”.
Siccome noi, però, siamo ancora qui su questa Terra ed abbiamo bisogno di sapere come comportarci, ecco allora che diventa importante approfondire il rapporto tra i due momenti della pericope di Isaia. Ecco allora che il dato, a mio avviso evidente, è che quella situazione di palingenesi, di Pace ed armonia piena, è frutto di ciò che fa il Messia. Anzi aggiungerei che il Messia, proprio perché è pieno dei doni dello Spirito di Dio, “Non giudicherà secondo le apparenze / e non prenderà decisioni per sentito dire; / ma giudicherà con giustizia i miseri / e prenderà decisioni eque per gli umili della terra. / Percuoterà il violento con la verga della sua bocca, / con il soffio delle sue labbra ucciderà l’empio. / La giustizia sarà fascia dei suoi lombi / e la fedeltà cintura dei suoi fianchi.”. In altre parole, ciò che contraddistingue l’azione del Messia è questa dedicazione totale per ripristinare la Giustizia, che la nostra debolezza ed i nostri peccati infrangono continuamente.
Probabilmente i più, leggendo questa lunga analisi, o si sono già stancati, o l’hanno ritenuta abbastanza ridondante. In realtà il mio dilungarmi non è stato casuale, bensì mosso dalla preoccupazione di mostrare adeguatamente questa relazione, a mio avviso ampiamente disattesa anche dentro la Chiesa, tra la Pace e la Giustizia. Ovviamente tutti ricorderanno a questo punto la famosa frase di Paolo VI° ”La Giustizia è il nuovo nome della Pace”. In realtà, pur rispettando le ragione di quell’aggettivo “nuovo”, possiamo tranquillamente dire che è l’altro volto della Pace.
Per chi non ha ancora desistito nella lettura di questo testo, mi permetto d’insistere su di un dettaglio, al quale accennavo nell’altra riflessione dal titolo “In memoria di Sant’Ambrogio”.
Se ci soffermiamo ad analizzare i versetti riportati in neretto, possiamo notare come questo agire messianico non è assolutamente privo di conflittualità; infatti, non vi è chi non veda come, chiunque agisca in questo modo, immediatamente non annulla i conflitti, anzi può addirittura accentuarli, perché nessun violento, o oppressore, si converte e si rassegna alla prima contestazione delle sue sopraffazioni. Quindi, la Pace messianica non è la stessa cosa dell’assenza di conflitti, dell’acquiescenza, della rassegnazione, del quieto vivere. Tutte cose queste, che noi cristiani, clero in testa, di solito ricerchiamo come valori prioritari; ma tanto per non insistere sulla non-conoscenza del Messia, Gesù ci aveva detto a chiare lettere: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. “ Gv 14,27.
Benché ne abbia già anticipato qualche aspetto, prima di concludere, mi preme rimarcare come tutta questa riflessione sulla figura del Messia e sul suo modo d’agire non ha come fine esaltare le doti ed i meriti dello Stesso, bensì ricordarci ciò a cui siamo chiamati, ovvero qual è la nostra missione come Chiesa, Corpo di Cristo, Vite del Signore. Ovvero, se abbiamo scelto Lui, come nostro Signore e Maestro, non possiamo che fare ciò che Lui ha fatto. Basterebbe rileggere il cap. 15 di Giovanni, subito dopo il versetto sopra citato; oppure la finale della “Lavanda dei piedi”. Purtroppo, però, se è vero che su altri insegnamenti del nostro Maestro pecchiamo per fragilità, o incoerenza, perché non abbiamo il coraggio di fare ciò che invece riconosciamo come doveroso. Invece, nel caso della Giustizia, io vedo che il nostro agire differente dal Vangelo, molto spesso, è sostenuto con tanto di argomentazioni, teologiche e spirituali. Peccato che le stesse siano umane, troppo umane, direbbe qualcuno…
don Marco