Il testo evangelico, che mediteremo in questa Seconda Domenica del nuovo anno è certamente uno dei più noti; ma anche uno dei più ricchi di significati simbolici, che, ovviamente, non pretendo analizzare nei loro singoli dettagli. Il profilo della mia riflessione vuole partire da una constatazione molto ovvia ed evidente, ovvero il contesto storico-concreto dal quale è scaturita questa narrazione, questa Buona Novella: il contesto matrimoniale, cioè una di quelle situazioni più ovvie e più comuni della nostra vita terrena. Qui, in questa concretezza, Gesù interviene e pone il “segno”, sul quale poi Giovanni farà tutte le sue ricostruzioni spirituali e teologiche, che ancora oggi alimentano la nostra fede. Un piccolo dettaglio, che mi preme notare, è che Gesù non fa nessun discorso spirituale, mistico, ascetico, teologico, o quant’altro: Lui pone il “segno”, per rispondere a quella necessità impellente, ed il “segno” parla da sé; tant’è, appunto, che, ancora oggi, siamo qui a cercare di scoprirne tutte le valenze connesse.
Questo atteggiamento di Gesù, ancora una volta, rispetta e rivela la realtà profonda della nostra esistenza. La nostra vita è pienamente, totalmente simbolica; dove simbolico non è sinonimo di apparente. Il simbolo è la parte evidente, percepibile, di qualcos’altro più profondo e più complesso. Al riguardo, l’esempio classico è quello dell’iceberg, del quale solo una minima parte emerge dall’acqua; mentre la gran parte, la più pericolosa, rimane sommersa. Se, dopo una bella litigata, il marito, spontaneamente, si mette a lavare i piatti, o a rifare il letto, quello è il “segno”, che quell’amore è ancora vivo e cerca un cammino di riconciliazione.
Queste semplici riflessioni mi servono per tentare di approfondire qualcosa, che invece mi sembra molto carente, o “invertito” nella nostra vita di fede. Mi pare che a questo livello, prevalga la dimensione “verbale”, non tanto nel senso del Verbo, bensì del parlato; in altre parole, c’è un’attenzione prevalente ed un’insistenza sui momenti “parlati” della nostra fede, dalla Liturgia alla Catechesi, a scapito della Carità in generale. Ovviamente non sto dicendo che non ci si preoccupa della Carità nella Chiesa, tutt’altro! Il problema è nel metodo, o nell’impostazione generale, per dirla in modo un po’ grezzo. Se volete l’esempio più macroscopico è il posto e la rilevanza che ha la Carità nelle nostre comunità cristiane. Forse, in un modo un po’ grezzo, possiamo chiederci qual è il “rapporto di forza” tra la Liturgia e la Catechesi, da un lato, e la Caritas dall’altro. Inoltre la Caritas, normalmente, è pensata come conseguenza, come frutto, delle altre due dimensioni.
Mentre, mi pare, che il vangelo di oggi si pone in un’altra prospettiva. Innanzitutto la preoccupazione è posta sul “segno”, sul gesto, che rivela l’attenzione di Gesù e del Padre verso quella coppia di sposi ed i loro amici. Certamente Gesù ha anche parlato, spiegato (anche se i discorsi “di Gesù” in Giovanni, come ben sappiamo, sono ricostruzioni del proprio Evangelista, a partire da tutta la vita di Gesù…). In ogni caso, Gesù, se parla, è “per rendere ragione” dei suoi gesti e dei suoi posizionamenti; ma questi, in ogni caso, rimangono con tutta la loro forza evocativa e simbolica, fino al “gesto” estremo: la Croce.
Mi pare che un po’ tutta la nostra vita cristiana, la vita delle nostre Comunità, e non solo la solita catechesi dei ragazzi, ha bisogno di ripensare la sua pedagogia e le sue priorità. Penso che sia urgente aiutarci ad essere segni, a porre gesti, che testimoniano la nostra appartenenza a Gesù ed al Suo Regno. Abbiamo bisogno di chiederci, innanzitutto, come Comunità cristiana, quali atteggiamenti, quale testimonianza dobbiamo dare dentro la grandi sfide del nostro tempo; così da essere riconosciuti come “quelli di Gesù di Nazareth”, come i discepoli del Cristo. Dopo di che ci sarà sempre bisogno della Liturgia e della Catechesi; anzi saranno questi i momenti per confrontare la “nostra Carità, i nostri gesti” con i gesti di Gesù, per purificarli continuamente e renderli sempre più evangelici. Ma la prima preoccupazione deve essere rivolta alla Vita, alle sue sfide, per poter essere dentro la Vita, segni del Regno.
“Annunciate sempre il Vangelo, se necessario anche con le parole” diceva San Francesco ai suoi confratelli. Fermo restando che i suoi confratelli, ancora oggi, avrebbero un estremo bisogno di meditare queste sue parole, forse, anche noi, dovremmo dedicare un po’ di attenzione a questa intuizione folgorante.
don Marco