Purtroppo noi ci troviamo a celebrare la Giornata missionaria mondiale con la solita sfasatura della Diocesi di Milano. Forse sarebbe più corretto a questo punto chiamarla Giornata missionaria ambrosiana…
Detto ciò, anche per il tenore delle letture, la nostra riflessione non può che avere un taglio rigorosamente missionario. In particolare, il Vangelo, che ci riporta le ultime parole di Gesù ai discepoli, mette a nudo le distorsioni della nostra fede ormai bimillenaria. Ovvero, il lascito di Gesù alla Chiesa è chiaro ed inequivocabile, nel senso che oggi ci è ricordato ciò che la Chiesa non può non fare: far sì che le donne e gli uomini diventino suoi discepoli, persone appassionate nel vivere e testimoniare il Vangelo. E sì, perché anche per l’ultimo dei neofiti, il segno inequivocabile, che ha incontrato realmente Gesù, è la passione con la quale cerca di comunicarlo ad altri. Questo è il compito di ogni cristiano, inequivocabilmente sancito dalla Parola di Dio. Il restante si può fare, ma solo dopo, o a partire da una chiara tensione missionaria.
A costo di apparire pedissequo e pedante, vorrei far notare qualche particolare che, a mio avviso, ha reso poco più che evanescente il comandamento di Gesù.
Innanzitutto, devo ripetere ciò che in realtà dovrebbe essere un’ovvietà: l’evangelizzazione è un fatto profondamente umano, nel senso che avviene dentro delle relazioni d’incontro e dialogo tra persone. Pertanto, qualsiasi ritrovato tecnologico e qualsiasi organizzazione pastorale non potrà mai sostituirsi alla testimonianza del discepolo che, essendo innamorato del suo Maestro, lo fa gustare ad altri. Purtroppo invece, molto spesso nelle nostre Chiese occidentali, la paura che il confronto personale faccia emergere l’inconsistenza della nostra fede, fa sì che ci si affidi ai vari ritrovati tecnologici e multimediali.
Per non parlare delle anime più pie e tradizionali, che riescono a vedere una forza missionaria anche nell’ultimo capitello delle nostre chiese.
Certamente anche l’ultima tegola porta in sé il segno della fede dei nostri vecchi. Ma, esattamente perché segno della loro fede, non ci esime dal fare noi oggi la nostra parte.
Anzi, a me pare, che questi segni della fede del passato siano esattamente uno schiaffo alla nostra povertà attuale. Infatti, quando guardo i miracoli realizzati dalle nostre genti povere, mi sento rivolgere la domanda inquietante: e voi, oggi, cosa state facendo per coinvolgere le genti nella vita della Chiesa?
Confesso che non so con quale diritto molti, troppi cristiani, invece spendano più energie nel voler attribuire valore missionario a cimeli del passato, piuttosto che abbandonare i loro confort e la loro mondanità, per mettersi in gioco a servizio dell’annuncio del Vangelo.
Certamente il primo e più importante annuncio è quello della testimonianza della propria vita; d’altro fin dai primi tempi S. Pietro esorta o primi cristiani “a rendere ragione della propria fede”.
In realtà non esiste un prontuario dell’evangelizzatore cristiano. Ciò che dice la nostra maturità missionaria è il quanto ci prendiamo a cuore la sorte dei nostri fratelli e delle nostre sorelle, che ancora non hanno incontrato il Signore Gesù.
A questo punto mi sembra utile soffermarci brevemente su di un malinteso, che, ancora oggi, rende debole l’azione missionaria. È il rapporto evangelizzazione-sacramenti. Se andiamo a rileggerci il comandamento di Gesù, la prima urgenza, che Lui ci raccomanda, è quella di “Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli”.
Dunque, innanzitutto, il missionario è “colui che va’”, per donare la perla preziosa che lui ha incontrato; non se ne sta arrogantemente in attesa di essere cercato, perché lui “possiede la Verità”.
Inoltre la sua priorità dev’essere quella di fare discepoli gli uomini e le donne di tutti i tempi e di tutte le latitudini. Certamente, poi, laddove vi sarà un cammino di fede autentico, quella fede andrà celebrata pubblicamente ed andrà sostenuta con la Grazia dei Sacramenti. Ciò che però mi pare chiaro è che non si affida alla mera celebrazione sacramentale il compito di evangelizzare. Purtroppo invece noi, qui in Occidente, quasi non sappiamo cosa significhi evangelizzare, rendere discepoli del Signore, perché per troppo tempo abbiamo affidato alla mera celebrazione sacramentale questo compito.
Infatti, anche l’ultimo rinnovamento della catechesi della nostra Diocesi è fondato sul principio secondo il quale l’itinerario e la tempistica nella celebrazioni sacramentali vanno da sé. In occasione dei medesimi si cerca di “fare un po’ di propaganda” al Signore Gesù, augurandosi che qualcuno, qua e là, abbocchi.
Ma di questo passo sarà difficile rievangelizzare l’occidente.
pe. Marco