Il Vangelo di questa domenica è certamente tra i testi, che affermano con maggior intensità e densità la relazione profonda tra il Padre ed il Figlio, il Verbo incarnato. La questione che interessa a S. Giovanni è sottolineare che nell’uomo Gesù di Nazareth, nonostante la sua radicale e profonda umanità, noi non ci troviamo di fronte semplicemente ad un uomo, ad un profeta, bensì al proprio Verbo, il Figlio di Dio, la seconda Persona della SS. Trinità.
Ma il dato forse ancor più scandaloso è che la carne, il corpo di Gesù, non è solo un rivestimento sotto il quale opera il Verbo. Se così fosse, tutti i gesti e le scelte di Gesù non avrebbero molto significato, perché chi realmente era all’opera era il Figlio di Dio, che, ovviamente, sente e vive ad un altro livello. Invece, questa insistenza di S. Giovanni vuole rimarcare il fatto che in quella storia ed in quei gesti compiuti da Gesù di Nazareth si rivela il Padre. Il Figlio ci parla del Padre attraverso i gesti, le scelte, le priorità, la gerarchia di valori evidenziati da Gesù.
Contemporaneamente in Gesù, il Figlio ci mostra e c’insegna come essere figli di Dio, come vivere da figli di Dio. Tutto ciò fa sì che la vita e la storia di Gesù sono vincolanti per ogni credente. La forma di vita, alla quale è chiamato il credente, è quella lì, quella di Gesù. Non ci sono pertanto altri modi di essere discepoli di Gesù. Ovviamente questo discorso vale per chi ha incontrato Gesù e dice di ispirarsi a Lui nel vivere la sua fede. L’indonesiano che non conosce Gesù arriverà al Padre per altri cammini.
A partire da queste sottolineature offerte da questo Vangelo, dovremmo poi fare tutto il lavoro più delicato e complicato di andare a confrontare la prassi di Gesù con le nostre prassi contemporanee, personali ed ecclesiali.
Il primo e fondamentale livello, dove dobbiamo fare questo lavoro spirituale, è quello personale. Solo laddove ciascuno di noi sa mettersi in silenzio davanti al Signore, lasciarsi trasportare dal sogno di vivere come Lui, lì il Signore mostrerà le forme concrete, contemporanee di incarnare il suo Vangelo. Finché la nostra religiosità sarà preoccupata di dire a Lui qualcosa, o di fare qualcosa che ci permetta di conquistare la Salvezza, continueremo a costruire una serie di celebrazioni e di simboli religiosi, che poco o niente hanno a che vedere con il Vangelo. In altre parole, continueremo a costruire tante “religioni cristiane”, una per ogni epoca storica, ma il Vangelo ed il suo Regno rimarranno solo belle parole da usare nelle liturgie.
Al tempo stesso, però, questo livello personale deve interagire, sempre e perennemente, con il livello comunitario; per non correre il rischio di costruirci tanti piccoli Gesù, a nostra immagine e somiglianza, “l’un contro l’altro armati”, ovvero in conflitto tra di loro. Che è esattamente ciò che sta avvenendo in questi decenni dentro la cristianità. Dopo secoli di spiritualità individualistica, ciascuno si costruisce il suo rapporto individuale con Gesù. E così vediamo uno scenario drammatico di persone che dicono d’ispirarsi all’unico Gesù di Nazareth ed arrivano a fare scelte esattamente contrapposte.
Purtroppo questo triste scenario non è da imputare al solito “mondo”, che ci assedia e ci tenta da tutte le parti. A mio avviso ciò che più manca è la capacità ecclesiale, comunitaria, di fare il fatidico discernimento, per capire cosa significhi oggi tenere Gesù di Nazareth come modello e paradigma di vita. La stessa celebrazione eucaristica, ma non solo, dovrebbe essere il primo e fondamentale “luogo” di discernimento ecclesiale. Il famoso “fate questo in memoria di me” vuole soprattutto invitarci ad essere noi memoria vivente di Lui, con i nostri gesti e le nostre opzioni. L’appuntamento settimanale con la Celebrazione eucaristica dovrebbe essere lo spazio privilegiato per riconoscerci comunitariamente in quello stile di vita di Gesù di Nazareth.
Eppure noi assistiamo al paradosso che gran parte dell’Assemblea chiede al prete di non fare questo discernimento storico. Infatti, quando qualche prete cerca di farlo, viene criticato e tacciato con i peggiori epiteti, perché non starebbe svolgendo il suo compito, accusandolo di “fare politica”, o sociologia. Purtroppo, come dicevo all’inizio, le nostre celebrazioni sono molto in sintonia con la prospettiva pagana: continuano ad essere grosse concentrazioni di individui preoccupati di accattivarsi la benevolenza divina, offrendo alla divinità qualche sacrificio, primo tra tutti la partecipazione ossequiosa e fedele alla Messa.
Certamente la nostra fede nel Verbo Incarnato deve recuperare al più presto la sua dimensione ecclesiale e comunitaria, per cercare di contenere queste derive individualistiche.
Pe Marco