Una volta nella cucina di casa, mentre mia Mamma preparava il pranzo di una domenica qualsiasi, le chiesi perché non mi avesse chiamato con un nome italiano
Perché non mi chiamo Stefano o Giovanni oppure Alessio? Uno di quei nomi comuni, comunissimi oserei dire che delle volte ora mi sembrano pure monotoni, spenti.
Avevo solo 5 o 6 anni ma riuscii a vedere la sua espressione in viso, rimase per un momento bloccata, mi sembrava quasi delusa dalla mia domanda. Forse non si sarebbe mai aspettata una domanda del genere, mi chiese perché? Non ti piace il tuo nome? Vorresti aver avuto un nome Italiano?
Gli risposi sì, solo sì, in realtà avrei voluto dirle che il mio nome mi piaceva, era speciale, diverso, quasi unico, ma che allo stesso tempo non volevo sentirmi diverso. Volevo essere comune, monotono, uguale agli altri mei compagni di classe, lei lo capii e mi sorrise, come dire sei ancora troppo piccolo un giorno capirai, la classica frase che i grandi dicono ai bambini quando questi si impuntano, e cosi me ne tornai in camera a giocare dimenticandomi di questa discussione.
Ero ancora troppo piccolo e ignaro della fortuna che avevo…
E’ nata prima la gallina o l’uovo?
Ho sempre avuto la sensazione di essere nato con il dono della lingua italiana, come un’abilità innata, eppure in casa si parlava albanese. Ricordo ancora gli sforzi dei mie familiari nello sfogliarmi l’abbecedario albanese, è stato forse il mio primo libro, era bellissimo pieno di colori. C’erano filastrocche, racconti e proverbi tanti di quelli me li ricordo ancora oggi.
Ero piccolo non riuscivo a capire l’importanza di quelle ore passate con mio nonno, la penna e l’abbecedario, per lui era una questione di stato. Sono molto fiero di questo e gliene sarò per sempre grato. E’ l’eredità più grande che mi ha lasciato.
E fu così che imparai a leggere e scrivere l’albanese ancor prima dell’italiano, pur essendo nato in Italia, quindi in questo caso è nato prima l’albanese in me.
Sono orgoglioso e fiero dei miei familiari che hanno avuto la forza e la perseveranza di trasmettermi queste tradizioni, senza queste non sarei la persona che sono oggi.
E’ delle volte mi sono chiesto, sarò in grado di fare lo stesso? Riuscirò a tramandare ai miei figli quest’eredità? Volere è potere si dice in Italia no?
Per l’italiano c’è stata la scuola, gli amici, ancor prima l’asilo, ancor prima la televisione penso, dico penso perché come detto non c’è un momento preciso in cui mi rendo conto di aver imparato, mi ci sento nato, come mi sono sempre sentito nato italiano.
Inizialmente durante i primi anni di scuola non riuscivo a rendermi conto del potere che avevo, ero bilingue! Nessuno dei miei compagni lo era, mi sentivo un passo avanti e questo mi piaceva, stava iniziando la mia transizione dal sentirmi diverso a speciale.
A scuola purtroppo iniziarono anche i primi casi di razzismo erano tante le volte in cui tornavo a casa piangendo, subendo degli sfotto basati su pregiudizi di cui non riuscivo a capacitarmene, anche perché vengo da una famiglia di lavoratori e sentirmi dire che i miei genitori erano ladri, criminali o peggio ancora assassini, era una cosa che mi rattristava molto. in fondo però, già allora capii che erano solo bambini, provenienti da famiglie monotone, piatte, la cui probabilmente loro unica fonte di informazione era il tg delle 7 la sera.. Col senno di poi non glieli feci una colpa anzi iniziai a capirli, a perdonarli, provavo delle volte un senso di pena nei loro confronti dicendo tra me e me : “ah peccato siano cosi limitati, chissà se prima o poi cambieranno…” Naturalmente erano una minoranza,. ancora oggi i miei amici sono i vecchi compagni di scuola.
Verso i dieci anni, un giorno mamma mi disse che non sarei andato a scuola, ma che dovevamo andare in Comune a ricevere la cittadinanza italiana, rimasi un po’ sorpreso.
Anche perché sinceramente ho sempre pensato di averla.. insomma non ho mai avuto bisogno di un documento per andare in oratorio, o a scuola calcio e per quanto riguarda i viaggi all’estero se ne occupavano i miei genitori, ma ne fui entusiasta, non vedevo l’ora di andare e di diventare ufficialmente un cittadino Italiano.
Una volta in Comune ci venne consegnata una copia della Costituzione, un po’ come si consegna un manuale dopo l’acquisto di prodotto, io però l’avevo già letta, la presi e la tenni in mano, facemmo il giuramento e dopo un po’ di tempo ci vennero consegnati i passaporti.
Nel momento della consegna l’emozione era alle stelle, presi il passaporto lo guardai bene, i miei dati, la mia foto, c’ era la mia firma, lo sfogliai tutto fino alla fine e dissi: E’ bellissimo!” Una volta chiuso, fatti i dovuti saluti uscimmo, salimmo in macchina e incredibilmente… non era cambiato niente, ero ancora io, non sentivo niente di diverso in me, al che chiesi a mia mamma: “E adesso? Che succede?”
Lei mi sorrise come fece anni prima in una domenica qualsiasi. Avevo già capito, non era cambiato niente. Avevamo solo un bellissimo passaporto nuovo.
A casa non mi è mai mancato niente. Dall’affetto fino alle cose più superficiali….
Non mi sono mai reso conto dei sacrifici, fatiche e difficoltà, che i miei genitori hanno vissuto emigrando.
D’altronde io in Italia ci ero nato per me era tutto normale semplice, una strada spianata.
Non me ne sono mai reso conto fino a quanto io stesso non lo sono diventato. Un immigrato, un immigrato 2.0 chi lo avrebbe mai detto?
Ed e proprio li che sono diventato uomo, andare in un paese diverso, dove non conosci nessuno lontano dagli affetti, dove si parla un’altra lingua e si hanno usanze e modi diversi, dove integrarsi è sopravvivenza.
Tutti gli inizi sono difficili. All’inizio gattoni poi ti alzi, inciampi, cadi, ti rialzi ancora fino a camminare. Fino a quando inizi a correre e non ti fermi più.
E’ la fine di agosto, mi sto preparando per le ferie, l’ultima cosa che mi rimane da fare e preparare la valigia, ogni volta che la vedo automaticamente ripeto nella mia testa un vecchio proverbio italiano non ricordo dove l’ho sentito o letto molto probabilmente era in un libro che avevo da bambino.
Recitava: ” LA VALIGIA DELL’ IMMIGRATO E’ SEMPRE PRONTA”
All’epoca non capivo, pronta? Pronta per cosa? Cosa ci mette dentro?
Più tardi poi capii che non c’era spazio per magliette e calzini, barattoli e conserve, la valigia dell’immigrato è pronta, piena, piena di resilienza, di entusiasmo, di forza, di sofferenza e empatia.
Rimane un piccolo spazio per la nostalgia ma non per la paura. Per quella non c’è più posto.
Mi chiamo Edi, sono un uomo di 28 anni di origini albanesi, Nato e cresciuto in Italia, residente da 10 anni nella svizzera tedesca dove lavoro e inseguo i miei sogni in attesa di ricevere tra qualche mese un bellissimo passaporto nuovo.
Agosto 2024