A margine della Domenica delle Palme
Per questa domenica, siccome la liturgia ci propone due schemi di letture, preferisco proporre una riflessione complessiva sul senso della stessa.
Indubbiamente il tema dominante ci viene presentato attraverso l’immagine di Gesù che entra in Gerusalemme. Al di là di qualche enfasi teologica evidenziata dai vari evangelisti, sappiamo che quel gesto, più che un evento di popolo, fu un momento fortemente simbolico, che Gesù volle vivere coi suoi discepoli. Il Messia doveva entrare in Gerusalemme, la Città Santa, fulcro e anima della millenaria tradizione biblica. Il Messia necessariamente deve portare a compimento la sua missione e la sua rivelazione definitiva alla città di tutte le promesse e di tutte le benedizioni. In altre parole, con questa entrata Gesù vuole affermare inequivocabilmente, davanti ai suoi discepoli, di essere il Messia atteso.
Così nella forza nel memoriale biblico, noi possiamo oggi partecipare di questa entrata attraverso questa celebrazione liturgica, che ci è proposta. Nonostante qualche aspetto devozionale accumulatosi lungo i secoli, questa Settimana continua ad essere la più autentica, perché è quella che meglio riesce a farci rivivere gli avvenimenti originari, che celebriamo nella fede dell’atto liturgico.
Oltre a questa dimensione propedeutica ed introduttoria ai Misteri che andremo celebrando, vale la pena sottolineare le caratteristiche regali scelte da Gesù.
Il Messia, che avanza cavalcando un’asina, rievoca chiaramente la simbolica regale dei tempi di pace. Il re visitava il suo regno in queste condizioni, quando lo stesso viveva tempi di pace e prosperità.
Ecco allora che Gesù, scegliendo questo tipo di regalità, vuole dirci che Lui è quel Messia, tanto atteso, capace di portare lo Shalom, la Pace piena e definitiva, rigorosamente frutto della Giustizia e della Verità, non delle armi o di qualsiasi altra forma di violenza e sopraffazione.
Questo tipo di simbologia inequivocabilmente sancisce che il progetto di Gesù, il Regno di Dio, lo Shalom, si realizza per forza propria, in virtù dell’adesione e della testimonianza di vita di coloro che lo accolgono e ne fanno una ragione di vita. Certo, questo tipo di logica prevede il dono di sé finanche il martirio, ma mai, e poi mai, può essere imposta o difesa con qualsivoglia forma di persuasione occulta, o di violenza psicologica o militare.
Eppure, ancora, dopo duemila anni di cristianesimo molti pensano a queste forme mondane per imporre la Verità evangelica; non rendendosi conto di come, tragicamente, smentiscano nel metodo, ciò che affermano con le parole. Forse l’ho già detto in una di queste riflessioni. Non più di qualche settimana fa un presunto cattolico doc ha affermato durante una Celebrazione eucaristica che questo è il tempo di riprendere le armi per difendere le verità della nostra fede (sic!).
Per queste contraddizioni palesi e clamorose, oggi più che mai, abbiamo bisogno di “entrare” nella Settimana autentica di Gesù, perché solo così, forse, avremo il coraggio di accogliere la Sua proposta di vita nella sua integralità, senza fronzoli, né attenuanti, soprattutto quando la Salvezza ricevuta in dono ci chiederà di farci dono di vita a nostra volta.
Pe. Marco