“Grida a squarciagola, non aver riguardo; come una tromba alza la voce; dichiara al mio popolo i suoi delitti, alla casa di Giacobbe i suoi peccati. Mi ricercano ogni giorno, bramano di conoscere le mie vie, come un popolo che pratichi la giustizia e non abbia abbandonato il diritto del suo Dio; mi chiedono giudizi giusti, bramano la vicinanza di Dio: “Perché digiunare, se tu non lo vedi, mortificarci, se tu non lo sai?”. Ecco, nel giorno del vostro digiuno curate i vostri affari, angariate tutti i vostri operai. Ecco, voi digiunate fra litigi e alterchi e colpendo con pugni iniqui.”
Questi versetti, come avete ben capito, non sono farina del mio sacco, bensì l’incipit del cap 58 di Isaia e fanno da introduzione al brano della prima lettura di questa prima Domenica di Quaresima. Questa mia scelta non è dettata da ragioni estravaganti, bensì dal fatto che la scelta dei nostri liturgisti rischia di ridurre il testo a noi offerto ad una mera discussione teorica sul senso del digiuno; quando invece la parola di Isaia è la risposta concreta di JHWH alle perverse riflessioni del popolo d’Israele.
Le obiezioni del popolo non fanno una grinza dal punto di vista pagano; esse sono pienamente legittime, se ci muoviamo all’interno della visione pagana della religione. Ovvero, la divinità è qualcosa di misterioso ed incombente, da conquistarsi attraverso una serie di sacrifici e rituali. Il dio pagano è fondamentalmente estraneo alla Storia, pur avendo lui creato tutto quanto esiste. D’altro canto nella sua onnipotenza misteriosa sovrasta ed accompagna in modo oscuro la vita degli umani. Per questo motivo gli uomini si preoccupano di accattivarselo nelle forme tipiche di ogni cultura religiosa. Per questo motivo, se le cose vanno male, è più che legittimo reclamare con lui, perché in qualche modo non sta ai patti, o abusa del suo potere; non sente un minimo di compassione per noi poveri uomini.
Ma il Dio Vivente, l’unico realmente esistente prima ed al di là di ogni nostra rappresentazione, che ha iniziato a rivelarsi ad Israele, JHWH, ebbene Lui non è così. Quanto ci farebbe bene, dopo duemila anni di cristianesimo, dedicare un po’ di attenzione alla lotta antiidolatrica dei profeti d’Israele! E’ la lotta che ogni comunità credente dovrebbe perennemente fare, per purificarsi dalle false immagini del divino, che continuamente noi produciamo.
In questa prospettiva dobbiamo leggere la risposta serrata di Isaia/JHWH, che ci viene proposta nella prima lettura di oggi. Infatti, il senso del loro intervento è quello di far prendere coscienza del fatto che JHWH, pur rimanendo al di là di ogni nostra rappresentazione ed immaginazione, ciò nonostante è radicalmente vicino a noi, presente negli avvenimenti della nostra vita quotidiana.
E la Sua azione è volta soprattutto a ripristinare quell’ordine giusto e fraterno da Lui creato all’inizio dei tempi. Per questo motivo Lui non è preoccupato di ricevere da parte nostra culti e sacrifici avulsi, totalmente svincolati dalla concretezza dell’esistenza. Anzi, questa invenzione umana, troppo umana, di riservare a lui il culto dovuto, a scapito, o indipendentemente, dalla pratica della Giustizia verso i nostri simili, ebbene questa schizofrenia religiosa è aborrita dal Signore; è un vero e proprio abominio e tutti i profeti ce ne danno testimonianza inequivocabilmente.
In questa prospettiva siamo allora chiamati a riscoprire qual è il senso cristiano del pregare. Fondamentalmente la preghiera cristiana, sia liturgica che personale, è il momento di rottura degli ordinari ritmi della vita, per confrontare la stessa con la prassi e la Parola della Trinità, così che il nostro agire nelle nostre piccole storie quotidiane sia perennemente sintonizzato a quello della Trinità. In ogni caso deve essere assolutamente chiaro che la preghiera non è il fine della nostra vita. E’ piuttosto il mezzo assolutamente necessario, per poter vivere relazioni sempre più giuste e fraterne: questa è la miglior lode, il miglior culto, che JHWH si aspetta da noi, suoi figli.
Ecco allora che anche questo famosissimo brano delle tentazioni di Gesù ci aiuta a mettere a fuoco le grandi tentazioni di sempre, che tormentano l’essere umano e che hanno prodotto la serie infinita d’ingiustizie, apparse sulla Terra.
La prima grande tentazione dell’uomo naturale è quella di pensare che la sua felicità dipenda esclusivamente dal benessere materiale; a tal punto di aver creato il binomio: quanto più beni, maggior felicità. Tutta la vita di Gesù sarà una demistificazione di questa illusione; a tal punto che dal Vangelo risulterà evidente il contrario; ovvero che solo i poveri nello Spirito esperimentano cos’è la beatitudine.
La seconda grande tentazione dell’uomo è quella di mettere alla prova il Signore, ovvero stravolgere completamente la nostra relazione con Lui: non più la creatura che si affida al suo Creatore, ma la creatura che mette alla prova il suo Creatore, che pone le condizioni per poter credere in Lui. Così il Mistero della nostra esistenza viene ridotto a poco più che un bambolotto da manipolare a nostro piacimento, come fanno i bambini con i loro giocattoli.
Infine, la perenne seduzione del potere, per la quale l’uomo dimentica la sua finitudine e la sua creaturalità, trattando i suoi simili non più come fratelli, bensì come se lui fosse il loro Signore ed il loro Creatore.
Che questa Quaresima ci purifichi da queste tentazioni, qualunque sia quella che ci è più cara…
Pe. Marco