Pur con molta ricchezza di suggestioni, anche da parte delle prime due letture di oggi, ciò nonostante non possiamo non soffermarci sulla figura del Battista; anche perché la pericope riportata dalla liturgia è abbastanza ricca di dettagli.
Eccoci dunque, di nuovo, a confrontarci con questa figura, che, come accennavamo in uno di questi primi commenti alle letture domenicali, segna particolarmente la nostra Liturgia Ambrosiana, al punto che la memoria del suo martirio è una data di riferimento, per l’organizzazione del nostro Calendario liturgico.
Prendendo immediatamente spunto dal primo versetto, mi preme sottolineare come io mi trovi sempre a disagio, quando leggo commenti che vogliono, a tutti i costi, rimarcare uno iato, una frattura, tra la figura del Battista, austero e giustiziere, e Gesù, testimone di una misericordia illimitata e incondizionata. Come spesso succede, questi stereotipi sono emotivamente efficaci, per svegliare uditori pigri e magari sul punto di addormentarsi; ma portano in sé varie contraddizioni. Certamente lui non è il Messia e ne è pienamente cosciente, con tutte le conseguenze del caso. D’altro canto, il fatto che lo stesso Gesù vada “a farsi battezzare da lui” non può essere ridotto ad un semplice gesto di umiltà (il Figlio di Dio, che si abbassa e finge di farsi battezzare da un uomo).
In realtà questo gesto mi sembra molto più ricco e significativo. Ovvero, ben sapendo che quello non era e non poteva essere il Battesimo-Sacramento, come quello cristiano, detto ciò, però, l’insieme del contesto penitenziale, legato al battesimo di Giovanni, esprime molto bene, forse al meglio, quanto noi possiamo e dobbiamo fare per accogliere la Liberazione, la Salvezza, che Gesù ci offre. Infatti quel “Convertitevi, perché il Regno dei Cieli è vicino”, se da un lato si astiene dal dare un contenuto a quel “Regno dei Cieli”, dall’altro ci dice che lo stesso troverà accoglienza, avrà effetto, diverrà Salvezza, in chi è disposto a mettersi in discussione, a rivedere i suoi schemi e le sue acquisizioni, a convertirsi, come di solito diciamo. Ma attenzione, questo atteggiamento non fu richiesto solamente a chi andava da Giovanni. L’andare là, da parte di Gesù, conferisce a tutto quel movimento sulle rive del Giordano un ruolo insostituibile nell’economia della Salvezza. In altri termini Gesù vuol dirci che quegli atteggiamenti di radicale relativizzazione di sé e delle proprie acquisizioni, sono elementi necessari, perché la Sua Salvezza possa operare in noi continuamente, anche dopo novant’anni dal nostro Battesimo sacramentale.
In questo senso il forte richiamo di Gesù ai farisei e ai sadducei non può certamente essere inteso come riferito solamente a quelle persone fisiche, o a quella categoria specifica. In realtà, come ben sappiamo dal resto del Vangelo di Matteo, questi richiami di Gesù vogliono aiutarci a smascherare pensieri ed atteggiamenti, che si annidano in ogni cuore umano, ma che possono essere irrimediabilmente ostili ad un accoglimento della liberazione, che Lui ci offre (io sono battezzato, cresimato, sposato in Chiesa, vado a Messa la domenica, cosa devo fare di più?). Senza indulgere a tentazioni masochiste, o deprimenti, non possiamo non riconoscere quanto sia difficile per noi, cristiani navigati, dare un contenuto concreto alla parola “conversione”. Certamente ne riconosciamo il valore e l’importanza, ma, quando si tratta di riempirla di contenuto, siamo molto bravi nell’indicare ciò su cui dovrebbero convertirsi… gli altri.
Sempre nel tentativo di approfondire questa riflessione, personalmente il Battista mi aiuta ad accogliere Gesù più con la vita, che con le parole. Normalmente si enfatizzano le sue parole, con le quali c’invita a preparare la venuta del Signore. Purtroppo, a mio avviso, si sottolinea poco il fatto che lui si sia preoccupato, innanzitutto, di prepararsi personalmente per questo incontro. Ovvero la sua vita è emblematica nel dirci cosa dobbiamo fare per accogliere il Salvatore.
A questo riguardo, allora, risulta, significativa e provocante ad un tempo, la relazione tra la sua spoliazione interiore e quella esteriore, tra il liberarsi da tutto ciò che può ostacolare questo incontro, sia a livello esteriore, che interiore. In questa prospettiva, allora, le condizioni di estrema essenzialità, nelle quali ha deciso di vivere, non possono essere viste come frutto di un volontarismo eroico, o, peggio ancora, narcisistico.
Tutt’altro. La rinuncia, libera e volontaria, ai beni materiali vuole essere una scelta di radicale libertà e disponibilità, per accogliere e fare ciò che “il Messia mi dirà, quando verrà”. Ovviamente questa “venuta” del Salvatore “nei nostri deserti”, non può che avere caratteristiche e connotazioni profondamente personali, come personale è sempre la nostra relazione con Gesù. Ciò nonostante gli atteggiamenti di fondo del Battista non possono essere relegati al piano della sua esperienza personale. Essi sono condizione necessaria, perché Gesù venga nuovamente nella nostra vita e ci liberi.
d. Marco