La liturgia della Parola di questa domenica è dominata dal bellissimo brano della crisi spirituale del profeta Elia (1Re 19, 8b-16. 18a-b). Ebbene sì, anche lui con tutta quella forza spirituale, ebbe questa grande crisi spirituale. In realtà, anche lui umanamente viene travolto dalla paura e, di fronte all’abbandono del popolo ed alla persecuzione della casa regnante, viene preso dal panico e fugge.
Lo incontriamo in questa caverna, che può essere tranquillamente la nostra stanza, dove ci rifugiamo, quando la Vita ci travolge e non sappiamo più da che parte girarci.
Perché Elia si trova in questa situazione? Semplicemente perché l’amore appassionato per la Parola del Signore, non gli permette di assecondare la deriva in cui versa il suo popolo. Israele, ammaliato dalla regina fenicia, va assumendo la cultura pagana dei popoli vicini. In tal modo Israele diventa politicamente più corretto, allineato; ma ciò porta con sé lo sfruttamento e le ingiustizie di religioni totalmente asservite al potere. Le religioni degli uomini, come le leggi, le creano i potenti, per tirare Dio dalla loro parte; per far credere ai poveri, che tutto va bene, che la società è così, perché Dio l’ha voluta così.
Ma Israele non doveva essere così. JHWH l’aveva liberato per donargli una terra “dove scorre latte e miele”; dove lui Israele, attraverso l’esercizio quotidiano della Giustizia, avrebbe dovuto dare a tutti i suoi figli delle condizioni di vita dignitose; certamente molto più umane e fraterne di tutte le nazioni circostanti, che “non conoscevano il Signore e la sua Legge”.
Eppure, in questa società teocratica, nella quale non è possibile separare l’ambito religioso da quello profano, ebbene in questo contesto nella prima metà del IX° sec a.C. il Signore chiama Elia, per denunciare il sostanziale tradimento dell’Alleanza, soprattutto da parte della casa regnante, il re Acab e sua moglie Gezabele.
Seguendo una logica consolidata, anche in questo caso la Giustizia della Torah, non viene contestata apertamente e direttamente. Piuttosto viene mischiata ed associata alle tradizioni ed ai costumi dei popoli confinanti, soprattutto quelli fenici, dai quali proveniva Gezabele.
Ma questa non è una triste, quanto unica eccezione. Questa è la dinamica permanente, che regge il conflitto perenne tra lo Spirito del Mondo e il Regno di Dio. S. Ireneo l’aveva smascherato molto bene, quando delineava le modalità subdole, con le quali il docetismo si stava insinuando impercettibilmente negli albori della Chiesa.
Purtroppo, dopo duemila anni di cristianità, il quadro non è per niente migliorato; anzi forse si è ulteriormente confuso e annebbiato. Se Elia ha dovuto confrontarsi con quattrocento falsi profeti, quanti sono oggi i falsi profeti, che con la Bibbia in mano giustificano ogni tipo d’inganno e sfruttamento nei riguardi dei poveri?
Purtroppo l’azione del maligno non è così semplice e spudorata, come quando con un abile gioco linguistico riesce a farci credere, che gli aggettivi minimo e massimo sono la stessa cosa. Infatti, solo una mente diabolica può credere in buona fede, che stabilire la dignità di un minimo salariale equivalga a fissare il massimo delle contrattazioni possibili. Le due questioni sono assolutamente indipendenti ed autonome; eppure, per sfruttare i Nabot di oggi, vengono fatte coincidere. Ma questo inganno, per ora, viene ancora denunciato!
Invece, abbiamo una miriade di altre situazioni quotidiane, che ci circondano e ci soffocano, eppure nessuno le vede, soprattutto sono invisibili per le nostre Comunità Eucaristiche.
Come accennavo poche settimane fa, la baraccopoli di Rosarno/S. Ferdinando sopravvive rigogliosa, assieme alle migliaia di altri migranti clandestini disseminati nel nostro Centro-Sud. Eppure le Comunità cristiane non li vedono, perché impegnate con i loro Vescovi a contare ossessivamente i praticanti sopravvissuti al COVID.
Però nessuno pensi, che i Nabot sparsi nei vigneti dell’Oltrepo pavese, o dell’astigiano, se la passino meglio di quello biblico. Eppure… nulla si muove, o meglio si ode.
Mi hanno colpito qualche settimana fa le annotazioni di un conoscente, fatte nel bel mezzo di una imponente festa patronale. Quest’uomo, con sincero dolore, mi riportava le immagini strazianti viste nel Tavoliere delle Puglie, mentre lo attraversava di ritorno dalle ferie. Ebbene, in quel contesto a circa 40°, mentre lui sudava nella sua auto super climatizzata, centinaia di ragazzi migranti raccoglievano gustosi pomodori per le nostre povere mense. Sconcertato ed affranto, si chiedeva come fosse possibile ciò e come potessero resistere a tanto. Forse erano sostenuti dai decreti della nostra sensibilissima Ministra del Lavoro.
O forse, più semplicemente, i pacchi viveri, che avrebbero ricevuto dalle Caritas locali. Eh sì, perché “noi” ci siamo e ci stiamo in mezzo a queste ed altre forme dell’ingiustizia contemporanea. Noi siamo lì, per attenuare gli effetti devastanti dello sfruttamento. Ma guai a pensare forme di denuncia, o di sostegno, alle rivendicazioni di questi nuovi oppressi!
Del tuo fuoco Elia è rimasta solo la cenere…
Pe. Marco
Parole che risuonano forti e chiare nel deserto delle coscienze e possono far rifiorire desideri e passioni di essere giusti.