Il tema, attorno al quale si articola la liturgia della Parola di questa domenica, è quello di Gesù, fonte della Vita, pienezza della nostra vita. Come tutti ormai già sanno questo famosissimo brano delle nozze di Cana, più che narrare la sequenza dei fatti realmente accaduti, è un pretesto per Giovanni, per farci una rassegna sintetica dei principali temi teologici del suo Vangelo (il simbolismo delle sei anfore, l’Ora di Gesù, la Gloria del Padre e di Gesù e…).
Ecco allora che il tema della Creazione incompiuta, che anela al compimento, della lettera ai Romani, nel Vangelo viene espresso plasticamente dalle sei anfore. Infatti, questo numero nella simbolica ebraica è quello che rappresenta l’umano. Ecco allora che, come il numero sei è quello che più si avvicina alla perfezione rappresentata dal 7, così l’essere umano è quella creatura, che più si avvicina ed aspira alla perfezione del suo Creatore, ma non potrà mai raggiungere, da solo, tale compimento.
Da qui la necessità per l’umano, per ogni donna ed ogni uomo, d’incontrare Gesù, per poter dare senso e significato a questa aspirazione, a questo desiderio di pienezza, che è il motore della nostra esistenza, la forza che ci trascina oltre le nostre morti quotidiane ed i nostri fallimenti.
Già a questo semplicissimo livello scorrono nella mia mente e nel mio cuore alcune semplicissime domande. Perché Gesù ha accettato di dare altro vino ad una festa che, a quanto pare, ne aveva visto scorrere già non poco? Ovvero chi stabilisce la misura ed i limiti del nostro desiderio? E nessun pensi che voglio avventurarmi in astratte riflessioni filosofiche sul senso del nostro desiderare. No. La domanda mi sorge spontanea dal toccare con mano, in questi giorni, come noi occidentali ci permettiamo di speculare e, ahimè, di legiferare in modo razziale sui sogni e sui desideri di nostri fratelli e nostre sorelle. Infatti, mentre nella nostra opulenta Lombardia spendiamo ben € 500.000.000,00 (non temete, non ho aggiunto zeri di troppo. Questo è il dato ufficiale della Coldiretti) per i nostri cani ed i nostri gatti, che hanno il diretto di scegliersi il cibo ed il medico; ebbene, contemporaneamente a ciò, migliaia di emigranti, detenuti nei nostri CAS, non possono più neanche farsi un cibo a loro spese, secondo i loro gusti ed i loro costumi.
Certamente, forse hanno finalmente letto il Vangelo i nostri dittatori di turno ed hanno capito che la gioia e la pienezza della Vita passa anche dalla tavola. E allora non sia mai che questi rifiuti umani, che ci sono capitati tra i piedi, assaporino il gusto di una vita migliore e più umana. Infatti, se così fosse, chi poi li rimanda indietro? E allora perseguitiamoli, senza sosta, su due fronti: da un lato neghiamo loro il diritto di essere sé stessi, di ricordare i gusti della loro terra, di mantenere un seppur minimo legame con il “mondo della vita” dal quale provengono. Dall’altro diamogli il peggio della nostra cucina, che noi non diamo neanche ai nostri cani, per non correre il rischio che continuino a sperare, a sognare una Vita migliore, degna di un figlio e di una figlia di Dio.
Non solo, ma se gli schiavi e le schiave si permettono di alzare la testa, di lamentarsi, o di mangiare clandestinamente una parvenza di cibo africano, allora facciamogli sentire di nuovo la frusta ed il bastone; allora, per castigo, non diamo loro neanche da mangiare, come è successo mercoledì nel centro di detenzione di Ballabio.
A partire da queste digressioni, che ai più possono apparire come frutto di “un’emotività spiccata”, vorrei introdurmi ad una questione, troppo spesso dimenticata nelle nostre riflessioni sul Vangelo. Potremmo definirla la questione metodologica di Gesù. Infatti, fin dal suo primo segno, Gesù è chiaramente situato; questo segno è posto dentro ed a servizio della vita reale e concreta della gente, nel caso una coppia di sposi. Se avesse avuto la nostra perversa visione cultuale, avrebbe potuto porre questo segno in occasione di qualche celebrazione della Pasqua, trasformando per l’occasione l’acqua nel vino del memoriale. No, invece Gesù accompagna la vita reale e concreta della gente e dentro la concretezza della storia fa la differenza, portando a compimento le legittime aspirazioni dell’uomo, la sua sete di pienezza e felicità. Pertanto il Regno di Dio non è qualcosa che avviene parallelamente alla vita normale. Il Regno di Dio si realizza trasformando la realtà della vita, liberandola da tutto ciò che ne limita e ne impedisce la sua piena realizzazione.
Pe. Marco