Le letture di questa domenica, in sintonia con la Giornata Missionaria Mondiale, hanno evidentemente un tono missionario; ovvero vogliono aiutarci a ravvivare la dimensione testimoniale della fede ed, al tempo stesso, ricordarci come si annuncia il Vangelo.
Ecco allora che il brano evangelico, che è la finale dell’incontro tra il Signore Risorto ed i discepoli di Emmaus, evidenzia molto bene ciò che il Papa ci dice nella “Evangelii Gaudium”: ogni battezzato è chiamato ad essere un discepolo missionario di Gesù.
Pertanto il tempo della preparazione, dell’apprendimento, del discepolato appunto, non è da relegarsi in un tempo, o in uno spazio limitato della nostra vita. Il battezzato, se vuole vivere nell’autenticità il suo Battesimo, deve vivere nella tensione continua ad imparare, a lasciarsi educare dal suo Maestro. Non esiste un cristiano preparato, pronto per vivere il Vangelo ed, ancor meno, per annunciarlo. Ciò nonostante, anzi, esattamente perché non annuncia sé stesso, bensì un dono, che lo supera da tutte le parti, il battezzato autentico è anche missionario. Ancor più radicalmente, se non accetta la sfida e la bellezza di annunciare questo dono straordinario, che è Gesù di Nazareth, non avanzerà neanche nel discepolato, non potrà camminare e approfondire la sua fede in Lui. La missione rende discepoli sempre più autentici.
A costo di essere banale e ripetitivo, mi permetto di sottolineare di nuovo che, quanto detto, vale per tutti i battezzati, non semplicemente per missionari “di professione” come me.
Se dunque la preoccupazione nell’annuncio/testimonianza del dono ricevuto, incontrando Gesù di Nazareth, è parte irrinunciabile della fede, la forma e le modalità di tale testimonianza non sono irrilevanti; sempre per quel vecchio adagio, secondo il quale “Non basta dire Signore, Signore per entrare nel Regno di Dio”. A questo riguardo, come sempre del resto, S. Paolo nella Lettera ai Corinti è perentorio: anche il testimoniare Gesù deve sottomettersi alla logica della Croce, pena la negazione di ciò che si annuncia, nell’atto stesso dell’annunciare, del “parlare” di Gesù.
Inutile qui ricordare, quanto il tema della Croce sia complesso ed ambiguo ad un tempo.
D’altro canto penso non sia inutile ricordare l’opzione positiva fondamentale, che può dare un senso a ciò che, per sé stessa, sarebbe la più assurda delle opzioni. Infatti, la Croce è la risposta del mondo del peccato a chi ha optato radicalmente per il progetto del Padre, che è la costruzione del Regno di Dio. Proprio perché questa opzione è, libera e radicale, ad un tempo, non può e non deve essere imposta a nessuno. Gesù non si è mai imposto e non ha mai imposto niente a nessuno. Sempre si presenta nella forma del dono condiviso. Per lui il Padre e il suo Regno sono il bene più prezioso; per questo motivo lo vuole condividere con noi. Ma così non può che essere anche il nostro credere e testimoniare: condividere la gioia incommensurabile di essersi consegnati a Gesù ed al Suo progetto di vita.
Al tempo stesso, però, chi vive questa esperienza radicale di consegna e appartenenza a Gesù ed al suo Regno, non può e neanche riesce a scendere a patti, a compromessi, con la logica del mondo. Soprattutto la scelta di “giudicare” la realtà stando con gli ultimi e gli oppressi, è una opzione che il mondo non tollera e, alla fine, non sopporta. Ma, vedendo l’umile fermezza di Gesù e dei suoi discepoli nel fare la volontà del Padre, il mondo del peccato non ha altra soluzione del problema che il crocifiggere i figli del Regno. Mi pare che in questi pochi versetti della Lettera ai Corinti, che ci vengono offerti oggi, Paolo ci aiuti a capire il perché del fallimento di tanti progetti ed iniziative, che noi denominiamo come missionarie. Infatti mi pare che troppo spesso, ancora oggi, il nostro scrivere ed il nostro predicare non passa di uno sproloquio, anche colto ed elegante, ma molto più vicino alla sapienza del mondo, che alla logica della Croce. Troppo spesso noi predicatori siamo più preoccupati di non intimidire o spaventare gli uditori, che non di suscitare ammirazione e passione per la prassi e le opzioni di Gesù di Nazareth. Oppure ancora incentiviamo, direttamente o indirettamente, il più bieco e cieco fideismo, quale via per salvarci e salvare il mondo dal suo caos, piuttosto che evidenziare le contraddizioni del nostro agire quotidiano, rispetto alla logica del Regno; in modo che possa scaturire il desiderio di una conversione delle pratiche e degli stili di vita.
Dentro queste alternative sottili e quasi impercettibili la Parola della Croce si dissolve in una predicazione ed, ancor più, in una pratica religiosa politicamente corretta, ergo irrilevante dal punto di vista missionario.
A questo riguardo, facendo interagire il testo di Paolo con l’inizio del testo di Atti, sono sempre più inquietato dal quanto annacquiamo il Vangelo, per trattenere disperatamente coloro che frequentano i nostri ambienti, anziché accogliere e dialogare con “coloro che praticano la giustizia, a qualunque popolo appartengano”. La logica evangelica ed i suoi valori sempre cozzeranno con il mondo, che portiamo dentro di noi. Ma, se invece di perderci in infiniti, sterili sproloqui, per attenuare le esigenze evangeliche fondamentali, ci aiutassimo vicendevolmente nel tenerle vive e cercare di attuarle, certamente le nostre Comunità sarebbero Comunità significative, testimoniali dentro il tessuto della nostra società.
Anche questa è una via della missione…
don Marco