In questo Tempo Pasquale penso valga la pena ricordarci rapidamente qual è il contesto, nel quale Gesù pronuncia le frasi riportate dal Vangelo di questa domenica. Siamo in pieno contesto della Passione, esattamente dopo la lavanda dei piedi e l’annuncio del tradimento di Giuda. Per questo motivo Giuda apre il Vangelo di oggi andandosene da quella sala. Ecco dunque che, giunto all’apice della sua missione e della sua testimonianza, Gesù svela il primo tradimento: quello di Giuda. Ma questo tradimento per Gesù non è motivo di desistenza, o di qualunque accordo al ribasso, per salvarsi. Tutt’altro! La meschinità e la codardia di uno dei suoi discepoli più intimi diventa l’occasione per far risaltare la gloria della Trinità: la gloria del Padre e la gloria del Figlio.
Come ben sappiamo, la gloria biblica non ha molto a che vedere con la gloria umana, fatta di potenza esuberante. La gloria biblica è il rivelarsi, il manifestarsi di JHWH negli avvenimenti della natura e, soprattutto, della storia. Così nella lavanda dei piedi e nel conseguente tradimento “il Figlio è glorificato”, ovvero si rivela pienamente come Figlio, obbediente e fedele, fino alla fine, fino alle estreme conseguenze, eppure capace di portare avanti, fino al compimento, la missione affidatagli dal Padre. Ma anche “il Padre è stato glorificato”, perché nel gesto radicale di farsi servo dei discepoli, lavando loro i piedi, Gesù glorifica, rivela pienamente la natura profonda del Padre. Il Padre è Colui che si mette radicalmente a servizio dei suoi figli, al punto che quasi i ruoli s’invertono: il Signore, il Creatore si mette a servizio dei sudditi, delle sue creature.
È a partire da questo tema decisivo della gloria, che possiamo cogliere l’importanza e la ricaduta dei versetti successivi. Infatti un Dio così paradossale, e solo un Dio così, può permettersi di comandarci: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri”. È evidente che qui non ci troviamo di fronte ad una pia esortazione, fatta da Gesù alla vigilia della sua morte. Qui siamo ben oltre e ben al di là. Infatti Gesù, con parole diverse, sta approfondendo il tema della gloria. In altre parole, attraverso questo comandamento, Gesù ci sta dicendo in che modo noi, discepoli di tutti i tempi e di tutte le latitudini, possiamo rendere gloria alla Trinità.
In altre parole l’amore fraterno, la comunione fraterna, fondata sul servizio dell’autorità, ebbene questa comunione è il perpetuarsi lungo i secoli della gloria trinitaria. È tramite questo stile di servizio e comunione, che i veri discepoli di Gesù rivelano Lui, lo manifestano, lo rendono percepibile agli uomini ed alle donne di oggi e di sempre. Ciò significa anche che i veri discepoli possono essere riconosciuti solo da questo stile di vita, simile a quello del loro maestro. Ciò significa che, al di là dai titoli posseduti, o degli incarichi ricoperti, mancando questo stile, questo profilo spirituale, Gesù viene oscurato, la Trinità nel suo essere più autentico viene nascosta. Diventa solo un concetto sul quale fare riflessioni astruse e complicate.
Ecco allora che, per l’ennesima volta, mi ritrovo a ribadire l’importanza di aver a cuore gli stili di vita delle realtà ecclesiali a noi affidate, ovvero di tutte le realtà ecclesiali con le quali abbiamo a che fare, in un modo o nell’altro. Pertanto il vero discepolo di Gesù non può non inquietarsi, indignarsi, quando ha a che fare con stili e comportamenti, che contraddicono questo comandamento della vita fraterna. È molto meschino ed in definitiva segno di scarso amore ecclesiale, ridurre gli abusi in questo campo a difetti di carattere, o incompatibilità tra membri della Chiesa. Ripeto, noi normalmente nascondiamo la nostra pigrizia ecclesiale dietro questi pretesti. Ma tutto ciò, in definitiva, non potrà che essere giudicato come mera connivenza con chi ferisce, o rompe la comunione ecclesiale.
Chiaramente queste mie collocazioni non possono che risentire della tragedia ecclesiale, che sto vivendo in prima persona. Ma è altrettanto vero che, più passa il tempo e la situazione non si sblocca, più aumenta in me la consapevolezza che il Signore ha permesso che fossi caricato di questa croce, per aiutare la Chiesa a prendere coscienza della gravità di questo problema. Il clericalismo autoritario è realmente il cancro della Chiesa moderna.
Causalmente, o provvidenzialmente, mentre mi accingevo a completare questa riflessione, ho ricevuto una telefonata di un mio ragazzo di Dom Pedro, attualmente studente universitario qui a Teresina. Riflettendo su questo mese brasiliano e sulla complessità dell’intera vicenda, lui si lamentava come la sua gente non riuscisse a ribellarsi e denunciare apertamente la tragedia ecclesiale, che ferisce la Chiesa di Grajaú. Ma io gli facevo notare come, in fin dei conti, gli unici che hanno osato prendere posizione su questo dramma sono stati i maranhensi. L’obbedienza cieca e la sottomissione ecclesiastica è stata certamente molto più forte in Italia, che non nel Maranhão.
Purtroppo non riusciamo a prendere coscienza fino in fondo che “da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri” e solo da questo…
Pe. Marco