Può un genio essere un buon padre? Troppo occupati a elaborare, scoprire, riflettere e creare i padri-genio, divenuti per merito icone e miti nella storia, si sono spesso rivelati genitori distanti, freddi e assenti nei confronti dei figli.
Alcuni hanno addirittura smentito le stesse dottrine che avevano sostenuto con passione e che in seguito li avrebbero resi famosi, e basti citare per tutti Jean Jacques Rousseau, padre della nuova pedagogia che mette al centro i bambini, ma che affidò i suoi cinque figli all’Ospizio dei Trovatelli.
Altri li trascurarono oltre ogni limite, come fece Alessandro Manzoni con sua figlia Matilde e non solo; o come si comportò il grande Charlie Chaplin con i suoi numerosi figli o l’eccelso Leone Tolstoj, che nei suoi diari non dedica neanche una riga alla nascita del suo primogenito.
C’è un denominatore comune nelle interessanti storie di “Grandi uomini, piccoli padri”, scritte per Fazi editore da Maurizio Quilici, fondatore nel 1988 dell’Istituto di Studi sulla Paternità e autore di numerosi libri sull’argomento, ed è una sorta di atteggiamento algido e distante che il genio riserva ai figli, quasi fossero un elemento di disturbo rispetto all’interesse assoluto per l’arte che invece servono senza riserve.
Quilici ha raccolto sei biografie (oltre ai personaggi già citati, racconta le lacunose paternità dello scopritore della fisica moderna, Albert Einstein e la sordità affettiva di Galileo Galilei), ma nella sua prefazione non esclude le donne, ricordando che la stessa Maria Montessori, madre del sistema educativo che porta il suo nome, per timore di non potersi dedicare completamente alla sua attività, tenne lontano il figlio fino all’adolescenza, facendosi passare per sua zia. O la scienziata premio Nobel, Maria Curie, molto criticata per lo scarso impegno che metteva nel suo ruolo di madre.
Grandi personalità e grandi cervelli, dunque, non sono sinonimo di grande umanità. Anzi
Leggendo le loro storie, la cronaca dei rapporti che unirono questi ingegni prodigiosi a mogli, sorelle, e figli, s’intravedono vistose assenze, quasi un’incapacità di far convivere tenerezza e attenzione con lavoro, ambizione e abnegazione, vissuti in modo assoluto per lasciare al mondo traccia di sé.
Colpisce come di tutti siano rimaste grandi opere e grandi scoperte e che, al contrario, tutti loro siano emersi dai ricordi dei figli come padri tiepidi e assenti. Ai giorni nostri, rispetto al passato in cui il padre per tradizione doveva comunicare più autorevolezza che affetto, è ormai mutato il concetto di paternità, si è “umanizzato” il modo di essere genitore e sempre più padri vogliono fare i padri. Ma il quesito che riguarda i geni rimane valido e Quilici lo pone in coda al suo libro : è giusto che un grande cervello sacrifichi il suo essere padre per arrecare un grande beneficio all’umanità?
Come è cambiato, nel tempo, il modo di vivere e sentire la paternità?
Da sempre i padri sono stati quelli che stabilivano le regole in famiglia. E le regole di papà non si discutevano. Severità e distacco da un lato, obbedienza e rispetto dall’altro. Insomma, le leggi in casa le promulgava lui, il padre. Alla mamma spettava, semmai, il compito di mediare, ammorbidire, usare il compromesso. Poi, una cinquantina di anni fa, i padri hanno scoperto il contatto fisico con il bambino, le coccole, la tenerezza, la possibilità di manifestare le emozioni senza il timore di perdere per questo la loro virilità. Hanno scoperto che è bello non solo “essere” padre, ma “fare” il padre. Se necessario, sostituendosi anche alla madre, in una elasticità di ruoli fino ad oggi sconosciuta nel nostro Paese. Basti pensare alla percentuale di futuri padri – superiore al 90% – che in Italia assiste al parto, nel desiderio di avere da subito un rapporto con il figlio (cosa
che – ci dicono gli psicologi – servirà a rendere il rapporto stesso più saldo e duraturo). E’ una novità storica, una cosa che non si era mai vista, una vera “rivoluzione paterna”.
Come sempre, c’è un risvolto della medaglia: ora è più difficile svolgere il compito – importantissimo – di porre dei limiti ed essere ascoltati. Per questo non condivido la figura del padre-amico o, peggio, del “mammo”. Ma quanta ricchezza in più per entrambi, padri e figli. Quante emozioni, quante scoperte insieme, quanta dolcezza…
Genio e paternità, mai andati d’accordo. Chi sono i padri migliori?
Quasi mai un genio riesce a essere anche un buon padre. I sei esempi di Grandi uomini, piccoli padri non sono eccezioni, sono la regola, almeno per i tempi passati (oggi, forse, la trasformazione dei padri farà sentire i suoi effetti anche sui geni). Una regola che a volte lascia addirittura sbalorditi, come nel caso di Rousseau, che è considerato il fondatore della pedagogia moderna ma che mise tutti i suoi figli all’ospizio dei trovatelli, senza mai più curarsene. O di Manzoni, che descrisse personaggi carichi di pietà e umanità nelle sue opere, ma che ignorò tranquillamente i numerosi, strazianti appelli della figlia Matilde ad avere una qualche sua visita. O ancora di Chaplin, indimenticabile, tenerissimo “papà” nel Monello, che avrebbe confessato: “Non amo i bambini”.
I padri migliori, poi, sono quelli che sanno benissimo di non poter essere perfetti, ma si sforzano di capire i figli, essere loro vicini (importante è la quantità di tempo che si trascorre con i figli, ma ancor più la qualità di questo) insegnare con l’esempio, mostrarsi coerenti (mai fare il contrario di ciò che si insegna!) far rispettare le regole con la pazienza, il dialogo e il convincimento piuttosto che con le punizioni. I padri migliori sono quelli che rispettano la personalità del figlio, il suo temperamento, i suoi desideri e non cercano di plasmarlo a propria immagine e somiglianza per potersi riconoscere in lui.
Quanto cammino c’è ancora da fare per il pieno riconoscimento della paternità?
I padri sono profondamente cambiati (e nel mio libro non mancano i rinvii ai tempi nostri) ed oggi sono perfettamente in grado di svolgere compiti ritenuti per secoli tipicamente materni, compreso l’accudimento quotidiano. Un’abbondante letteratura scientifica, nell’ultimo mezzo secolo, ha dimostrato l’importanza dei loro ruoli e delle loro funzioni. Tuttavia gli stereotipi sono duri a morire. E sono ancora in molti a pensare che la madre sia figura insostituibile nella cura dei bambini, specialmente se in tenera età. Questo, per esempio, risulta evidente in occasione di separazione e affidamento dei figli.
Nelle aule di tribunale il padre è spesso considerato figura residuale, nonostante gli sforzi di adeguare le leggi alle trasformazioni in atto nella società e nella famiglia. In Italia ci vorranno ancora alcune generazioni perché si riconosca, al di là delle ovvie differenze di genere tra uomo e donna, il pari significato e la pari importanza di padre e madre per uno sviluppo sereno ed equilibrato dei figli. I “nuovi padri”, come oggi sono chiamati, si stanno adoperando per costruire una nuova immagine di sé. Lo fanno con molto entusiasmo, ma senza alcuna esperienza storica. E quindi commettono errori, cadono in eccessi o mancanze. Sarebbe giusto e importante aiutarli in questa loro ricerca di identità; spesso, invece, sono ignorati, sottovalutati, osservati magari con simpatia, ma anche con sufficienza. Come qualcosa che ha fatto il suo tempo e non serve più. Mai come oggi, invece, c’è bisogno di una figura di padre “nuovo” e autorevole.
Maurizio Quilici
Grandi uomini, piccoli padri
Fazi editore
Pagg 234, euro 16,50