Questa domanda, che ho voluto porre come titolo di questa riflessione, la sentiremo risuonare domenica prossima nelle celebrazioni di rito ambrosiano.
La sua forza provocante è assoluta e da duemila anni attraversa la storia dell’umanità. D’altro canto, per noi quest’anno dopo un anno a confronto serrato con i morti per il COVID19, questo invito di Gesù ha molto della sfida e risuonerà per le nostre coscienze con una forza in-audita.
Come tutti i principali testi giovannei, anche per questo del cieco nato il fatto storico, che l’ha generato, rimane molto sullo sfondo, rispetto alla riflessione teologica che Giovanni e la sua Comunità ne hanno ricavato.
Come per noi di fronte al dilagare inarrestabile della pandemia, anche per le sorelle di Lazzaro ed i suoi amici la prima preoccupazione è come sfuggire alla morte fisica, al venir meno della vita biologica. Certamente per quell’ animale particolare, che è l’essere umano, la drammaticità della morte fisica viene aumentata esponenzialmente dalla consapevolezza, dalla coscienza di dover morire, di perdere definitivamente il controllo della propria vita, semmai l’abbiamo mai avuto tale controllo.
Eppure Gesù relativizza questo problema, fino quasi a prendersi gioco delle ansie dei suoi interlocutori. Di certo non fa assolutamente nulla per prolungare, anche solo di un minuto, la vita biologica di Lazzaro.
Questa apparente indifferenza non può non farci pensare. Se è vero come è vero, che l’uomo naturale non può che occuparsi della vita biologica, perché conosce solo questa;
è altrettanto vero che questa preoccupazione non può essere né l’unica, né la principale preoccupazione del discepolo e della discepola di Gesù, costo di apparire irriverente e indifferente come Gesù. Di fronte a questo atteggiamento di Gesù, dopo un anno di pandemia, continuo a chiedermi: ma noi cristiani, coloro che si autodefiniscono tali, abbiamo saputo guardare in faccia la
morte, che ci è passata accanto, con la stessa irriverenza e con la stessa spregiudicatezza di Gesù?
Certo, affrontare il COVID19 in questo modo, può essere facilmente confuso con l’irrazionalità dei negazionisti; ma è altrettanto vero che l’impostare tutta la questione solo ed esclusivamente a partire dalla vita/morte biologica potrebbe, di fatto, nascondere una sostanziale mancanza di fede nella Vita Eterna.
E la Vita Eterna, per Gesù, non è qualcosa che viene dopo la vita biologica, né ci viene presentata come contrapposta ad essa. La Vita Eterna è una prospettiva differente, dalla quale guardare e vivere, anche la stessa vita biologica. In altre parole, la relazione con Lui e con il Padre ci permette
di vivere in un modo radicalmente differente. Ci colloca dentro una dimensione dove anche la vita biologica viene salvaguardata, perché ci dà la possibilità di metterci in relazione con Lui, con il Padre e con i fratelli. D’altro canto la vita fisica, fin dall’inizio, fin dal suo apparire sulla Terra, sa che dovrà venire meno, sa che dovrà morire. Pertanto la qualità di una vita non può dipendere dalla sua lunghezza, dal numero dei giorni che passerà su questa Terra. Anche la vita biologica acquista più o meno qualità a seconda della qualità di questi giorni.
In altre parole, ciò che rende eterna un’esistenza dipende dalla qualità delle relazioni che la stessa ha vissuto. A questo livello Gesù si propone autorevolmente come Colui, che meglio può indicarci dove sta il “tesoro nascosto” delle relazioni autentiche: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno”. Questa è la premessa, che Gesù pone prima di porre la domanda che ho scelto come titolo dell’articolo.
Quindi la Fede si gioca su queste condizioni terribilmente chiare e semplici. Paradossalmente Gesù non sta chiedendo un atto di fede sull’Aldilà; Gesù non ci chiede di credere in una vita dopo la morte.
Gesù ci sfida a credere che il vivere come Lui, ovvero mettersi “a lavare i piedi dei fratelli” come ha fatto Lui, ci fa entrare in una dimensione di vita radicalmente diversa, più autentica, perché è lo stesso modo di vivere, che vivremo dopo la morte biologica. Per questo motivo il vivere come Lui c’introduce fin d’ora nella Vita Eterna. Il vivere nella forma del servizio, che sia fatto durante la vita
biologica, oppure in un’altra dimensione non ha più nessuna importanza, ci dice Gesù.
Ecco, allora, che nel caso del COVID, come nel caso di Ebola, della lebbra, o di qualsiasi altra malattia infettiva, pur con tutto il riguardo a non contrarre la malattia, o a non divulgarla inutilmente, la preoccupazione più profonda, che dovrebbe sostenere l’azione dei cristiani, è come
mettersi a servizio, come soccorrere chi si è ammalato, chi è rimasto solo, chi non può farcela da solo.
In altre parole, anche e soprattutto di fronte ad una pandemia come il COVID, i discepoli di Gesù cercano di rimanere nella Vita Eterna del dono di sé stessi.
Pe. Marco