Un maschio cresciuto nel rispetto delle regole, nella soddisfazione dell’autonomia e nel riconoscimento delle ragioni altrui, difficilmente sarà violento con una donna. E sarà un maschio migliore.
Dopo non poco travaglio, visto il livello emotivo di questi giorni, alla fine ho deciso di arrischiarmi nel dare questo piccolo contributo, ben consapevole della complessità del problema.
Il fatto in questione è la tragedia consumatasi tra i due fidanzati, poco più che ventenni, con l’ennesimo, barbaro, femminicidio. Sul fatto in sé si sa già tutto. Ovviamente tutte le persone di buona volontà sono mosse da un’unica domanda: come e che cosa fare per contrastare, se non interrompere, questo terribile flagello sociale? Se ce lo stiamo chiedendo, è evidente che nessuno ha la soluzione in tasca; tanto meno io.
Per introdurre la riflessione, raccomanderei innanzitutto la lettura di questo articolo significativo, apparso martedì sul quotidiano “Avvenire”. La mia riflessione vuole essere una sorta di complementazione di questa analisi puntuale e radicale ad un tempo: https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/alle-radici-del-rispetto
D’altro canto, anche questo articolo, pur allargando molto la riflessione, ha come riferimento l’ormai vituperato “maschio, bianco, alfa, eterosessuale”. Nonostante le precisazioni e i distinguo, il fluire degli articoli e delle interviste di questi giorni lascia trasparire questa preoccupazione di fondo: bisogna educare, o forse sarebbe meglio dire rieducare, i maschi, che portano in sé questa violenza inaudita, che poi scatenano sulle loro donne.
Però questo accanimento sui maschi cosa sta producendo? Nella maggior parte dei casi sta producendo “i padri peluche”, o la “mammificazione” degli uomini, come dice il prof. Novara. Ormai il buon partner è colui che fa da maggiordomo alla sua compagna. Nel resto dei maschi, la minoranza più debole e smarrita, genera ulteriore violenza quasi come una reazione irrazionale di difesa.
Il limite di questa prospettiva è quella di aver scaricato tutta la responsabilità sul maschio appunto, facendolo diventare una sorta di capro espiatorio di un problema dalle dimensioni più vaste e strutturali. Come ben sappiamo, i capri espiatori offrono soluzioni rassicuranti sul momento, ma illusorie nella sostanza. Infatti, l’umanità è frutto dell’incontro tra queste due polarità complementari e dialettiche: il femminile ed il maschile. Se annullo uno dei due poli, cosa resta? E’ come chi, minacciato da un nemico, taglia una delle estremità di un ponte; e poi?
Un prima domanda, che non può essere elusa è: ma il femminile è solo purezza di ideali e vittima sacrificale? Perché non si può parlare della violenza femminile, che ovviamente non è fisica, ma simbolica e psicologica?
Dico questo, non per avviare un inutile contenzioso su quale sia il genere più violento, bensì per introdurmi a quella che a mio avviso è l’origine, la causa della violenza cui stiamo assistendo. Tale causa è da rinvenirsi nella struttura individualistica e narcisistica della nostra società. Questa cultura fa sì che tutto il processo educativo, fin dall’allattamento materno, tenda a generare individui profondamente narcisisti.
Ormai, i pochi bambini che mettiamo al mondo sono soffocati da un numero variabile di genitori e di nonni, totalmente votati al servizio di questi piccoli dei, fino al sacrificio. Queste truppe d’elite da un lato devono preservare il loro piccolo dio da ogni sacrificio e da ogni rinuncia; dall’altro cercano di offrirgli, tutte le opportunità della nostra società consumistica, perché impari a godere di questi frutti fin dalla più tenera età. Come ben ha descritto il prof. Novara, ogni minimo trauma, o conflitto, gli viene evitato, perché i suoi adulti, come dei legionari, si sacrificheranno per lui contro gli insegnanti, gli educatori, o altri genitori/nonni.
Questi individui, che sono i figli di questa società malata, non potranno che crescere nell’illusione di essere il centro della realtà e qualsiasi cosa passi loro per la testa, o per la pancia, non potrà che esser loro dovuta. Viceversa, la loro indifferenza, o passività di fronte a tutto e a tutti, viene normalmente confusa con la bontà (era un bravo ragazzo, non ha mai fatto male a nessuno, abbiamo sentito ripetere), dimenticando ormai che “l’indifferenza è il male più grande”, come diceva bene Madre Teresa.
Tali individui, centro e signori del mondo, non possono che andare in crisi e reagire nei modi più irrazionali di fronte ad un no, o addirittura ad un’opinione diversa dalla loro. Ciò vale sia per la violenza fisica del maschile, come per quella simbolica femminile. In entrambi i casi, la comparsa dell’altro/a con i suoi sì ed i suoi no colpisce al cuore l’io narcisistico, allevato per essere signore del mondo.
Personalmente non penso servano altre leggi e decreti contro i femminicidi, perché aumentano i posti di lavoro nel sistema giudiziario, ma non intaccano il problema.
Occorre una presa di coscienza collettiva dell’inganno di tanti nostri modelli culturali e la conseguente revisione dei nostri modelli educativi. Fin tanto che noi adulti continuiamo a convivere con il nostro individualismo edonistico, non potremo che produrre processi economici, culturali e pedagogici finalizzati ad alimentare tale modello. Ma per questo modello l’altro/a, fino all’Altro per eccellenza, è solo un limite fastidioso, se non un ostacolo.
L’alternativa cristiana a questo modello culturale è stata presentata in modo esemplare dalla prof.ssa Giaccardi al Convegno Caritas d’inizio Anno Pastorale e che la potete riascoltare a questo link: https://download.caritasambrosiana.it/download/relazioni/2-giaccardi.mp3
In sintesi, si tratta di prendere sul serio le parole del Papa e di molti intellettuali seri, che hanno evidenziato come ciascuno di noi non solo è legato da un’infinità di relazioni con il resto della realtà, ma addirittura noi siamo costituiti, fatti, generati e generiamo gli altri attraverso queste relazioni. Pertanto, noi non siamo degli “Io”, isolati dagli altri e onnipotenti. Noi siamo frutto delle nostre relazioni e generiamo altre persone con le stesse relazioni. Solo curando, servendo, alimentando queste relazioni mi prendo cura degli altri e di me stesso contemporaneamente.
Questo banalissimo abbozzo antropologico vuole però indicare la possibilità di un cammino, verso una società più conforme alla nostra natura più profonda; una società che possa finalmente sostituire l’Io dell’idealismo con il Noi, l’Ubuntu di diverse culture africane, perché la violenza fisica dei maschi più deboli è solo la manifestazione più clamorosa dell’inconsistenza dell’Io.
Pe. Marco