Carissimi amici e amiche, che, in un modo o nell’altro, accompagnate il mio cammino missionario, eccomi qui di nuovo con qualche riflessione, per prepararci a vivere un altro mese di ottobre, mese missionario. Che mai si può dire circa la missione, che ancora non sia stato detto? Certamente niente. D’altro canto, soprattutto per me, che vivo di missione, una domanda risuona impellente? Perché tanta debolezza, fragilità da parte della Chiesa, delle nostre Comunità, nell’evangelizzare? Perché tanta irrilevanza della fede per i nostri giovani, che dovrebbero essere il futuro della Chiesa e del mondo? Eppure quando le persone, giovani o adulti che siano, vengono poste a tu per tu con Gesù, continuano a riconoscerne il fascino unico e insuperabile.
Ecco, è questo spazio tra Gesù e le nostre esistenze concrete, che sta diventando sempre più desertico. Ovvero questo spazio, normalmente occupato dalla Chiesa, “segno e strumento efficace della Salvezza”, è diventato via, via più rarefatto, inconsistente, inutile. Così, tra l’individuo e Gesù Cristo riusciamo sempre meno a riprodurre esperienze di vita, in cui toccare con mano come il Vangelo faccia bene alle nostre vite. Come sempre, a questi livelli gli elementi in gioco sono molteplici e le semplificazioni pericolose. Per questi motivi gli spunti che offrirò devono essere presi come tali e non come la risposta definitiva a questi problemi.
Mi permetto di offrirvi due esperienze, come punto di partenza, per capire poi le mie collocazioni. Ieri sera leggevo un’intervista ad un noto sociologo cattolico brasiliano, circa la relazione tra la Chiesa cattolica brasiliana e l’attuale situazione sociale e politica, che stiamo vivendo qui in Brasile. Penso che sappiate, che da poche settimane è stata destituita con un golpe parlamentare la Presidente, eletta regolarmente due anni fa. Questo fatto è l’aspetto più evidente di un processo di criminalizzazione del governo di centro-sinistra, che ha retto il paese negli ultimi quattordici anni. Orbene, questo sociologo, analizzando la posizione della Chiesa cattolica, ne constatava la sostanziale irrilevanza, soprattutto da parte dei suoi vertici, rispetto ai grandi problemi, che affliggono la società brasiliana.
Perché sta succedendo ciò? Perché la grande maggioranza dei Vescovi è stata scelta per essere “politicamente corretta” in tutti i contesti e in tutte le situazioni, per non scontentare nessuno; più attenta ad un Cielo, senza volto, che alle storie dei volti degli uomini e delle donne del nostro tempo; preoccupata di proclamare “la retta fede e la retta morale”; puntuale e disciplinata nella liturgia. Così, la profezia, capace di illuminare il presente alla luce della Parola di Dio, è andata via, via sparendo. Ed ora, che tutte le magagne del nostro sistema socio-politico stanno venendo a galla, manca chi possa orientare il Popolo di Dio in questa “traversata del deserto”.
Altro fatto, per me rilevante, perché simbolico, è stata una piccola diatriba tra le catechiste di due mie Comunità, per decidere la data della Prima Comunione e la T-shirt da vestire quel giorno. Si trattava semplicemente di tre catechiste, due di una Comunità e una dell’altra, che avrebbero dovuto trovarsi per risolvere il “grande” problema. Ho dovuto convocarle io d’ufficio per farle mettere d’accordo; salvo poi dire che era una cosa da nulla. Effettivamente…
Infine, come diversi di voi sanno, sabato 3 di Settembre è successo un piccolo miracolo ad Alto Brasil: siamo riusciti a mobilizzare buona parte della popolazione, per realizzare, per circa 9hs, il blocco della Statale, che attraversa il paese. Il tutto, perché, da più di un anno, siamo senza segnale telefonico. Al di là del fatto che ho dovuto passare diverse ore sotto il sole, che sfiorava i 40°, perché la gente esigeva la mia presenza; al di là di ciò, quando non si sapeva come sarebbe andata a finire, ho cominciato a ventilare l’ipotesi di celebrare la Messa principale della domenica sera tra le gomme usate e le carcasse del blocco. Con mia grande sorpresa la proposta è stata accolta al volo e ho visto un entusiasmo tale che, in alcuni momenti, ho desiderato che il blocco continuasse fino al giorno seguente, per poter celebrare quella Messa. Purtroppo o per fortuna il mio sogno non si è realizzato, perché il Governatore ha mandato una delle sue segretarie personali per trattare lo sblocco. Tra l’altro in questi giorni hanno cominciato ad approntare una soluzione provvisoria del problema.
Cosa ci dicono questi tre avvenimenti? Innanzitutto che abbiamo bisogno urgentemente di “uscire” dai nostri “spazi sacri”, o presunti tali, per vivere la nostra fede, ovvero offrire la prospettiva della fede, per risolvere i problemi concreti, che la gente vive. In questo modo la gente percepisce che la fede vale, che ha molto da dire ai problemi della società; che non è un’esperienza alienante, estranea ai problemi concreti, che il popolo vive. E il popolo innanzitutto va’ accolto così com’è, con tutte le sue innumerevoli contraddizioni e resistenze. Sarà la vicinanza e la condivisione della vita, che permetterà la testimonianza e la contaminazione, se, chi si dice credente, porta nel cuore realmente quel “di più”, che fa la differenza. Qui in Brasile molte parrocchie, la nostra compresa, fanno regolarmente delle visite missionarie a tutte le famiglie; ma sono momenti estrinseci, estranei alla vita reale. Hanno più che altro i tratti del proselitismo. Per questo motivo, normalmente, non hanno quasi nessun effetto. Al tempo stesso, i cattolici, a parte lodevoli eccezioni, hanno un rifiuto quasi generalizzato nel riflettere sui problemi della società e a coinvolgersi nelle sue strutture, per illuminarle alla luce della Parola.
L’altra grande questione, che vedo rappresentata nell’esperienza fallimentare delle mie catechiste, è la “diaspora” dei cattolici e, ancor più qui in Brasile, dei cristiani (vedi tutto il fenomeno delle sette evangeliche, pentecostali, neo-pentecostali ecc…). Probabilmente, quando il Figlio dell’Uomo tornerà, non avrà tanto il problema di “ritrovare la fede sulla Terra”, quanto di incontrare due battezzati, che siano d’accordo su qualsiasi cosa da fare. Qui non sto sognando “l’unità politica dei cattolici” o il mitico, quanto fallimentare, “Progetto culturale” di ruiniana memoria.
Il fatto è che, con la riscoperta della libertà di coscienza, da un lato e l’abbandono del tema della profezia e della testimonianza dall’altro, si è spianata la strada a quell’assolutizzazione dell’io, che il mondo sta vivendo da alcuni decenni. Ma a questo livello, non a caso, già duemila anni fa Gesù legava indissolubilmente la testimonianza di Lui all’amore fraterno dei discepoli “Da questo riconosceranno, che siete miei discepoli: se vi amerete gli uni gli altri” (Gv. 13,35). Se a qualcuno la citazione può sembrare strana o fuori luogo, vorrei chiedere: a che serve professare nella Liturgia la nostra fraternità, se poi nella vita concreta non riusciamo a metterci d’accordo su niente, per rispondere alle grandi sfide epocali alla luce del Vangelo? Alla fine questo “andare in ordine sparso”, alla “ciascuno per sé e Dio per tutti”, al di là di molte altre, produce questa conseguenza, che mi pare macroscopica: rende etereo, evanescente, lo stesso Gesù e il Suo Regno.
Chiaramente una Chiesa, che non ha paura di assumersi la responsabilità della profezia, per orientare l’umanità, necessita urgentemente di un Magistero, che reinterpreti il suo ruolo. Non più, o non solamente, un Magistero dottrinale e giuridico; bensì un Magistero capace di discernimento e del coraggio della sintesi; ovvero capace di dire parole autorevoli e orientative, dentro le situazioni contraddittorie della vita concreta. Dici poco, dirà qualcuno. Beh, io non vedo molti altri cammini. Mi pare che l’esempio che il Papa ci ha dato in occasione dei due Sinodi sulla Famiglia, sia, ad un tempo, significativo e fattibile.
Mi pare che questi siano, oggi, i sentieri, tortuosi e avvincenti, della missione, in Brasile e, forse, anche in Italia.
Pe. Marco