Rileggendo il bellissimo racconto jahvista della Creazione, trasmessoci nel cap. 2 di Genesi, sono stato provocato dai due verbi, con i quali nel v 15 viene riassunta la missione dell’umanità sulla Terra: coltivare e custodire.
Per analogia sono riandato alle mie conoscenze bibliche, per cercare qualche affermazione simile, che sanzionasse il diritto alla proprietà privata per qualsivoglia individuo sulla faccia della Terra.
Pur non essendo un conoscitore raffinato delle Scritture, ciò nonostante posso affermare, senza tema di smentita, che in effetti non esiste un tale diritto concesso agli uomini da parte di JHWH. Certamente, dai molti riferimenti ai beni, si evince una qualche forma di proprietà sugli stessi, ma sono altrettanto chiare le sentenze ed i proverbi, che ne condannano l’accumulo. Fino al caso emblematico dell’Anno giubilare (Lv 25), pensato intenzionalmente per ridistribuire gli accumuli indebiti di terre e proprietà.
Paradigmatico mi sembra il caso della Terra di Canaan, assegnata al popolo d’Israele. Anche in questo caso, pur con tutte le eccezioni riservate ad Israele, si tratta di un usufrutto concesso dall’unico Signore e Padrone: JHWH, perché il popolo possa vivere in pace e servirlo come Lui merita.
In ogni caso Gen 2, che un punto di vista redazionale è relativamente recente, raccoglie però materiali di tradizioni orali, che risalgono agli albori della cultura umana. Non a caso questi racconti cercano di rispondere alle domande di fondo, che da sempre accompagnano la storia umana.
Ecco allora che questo breve, ma densissimo, racconto ci dice una prima verità fondamentale, troppo spesso dimenticata dalla maggior parte dei sedicenti cristiani: JHWH ha affidato la Terra ad Adam (padre mio in sumerico), perché la coltivasse e la custodisse. Ovvero non è dato agli uomini nessun diritto di proprietà personale. Tutt’al più si può parlare della concessione di un diritto di ususfrutto, che è tutta un’altra cosa. Non solo, ma questo Adam, il cui nome è tutto un programma, è l’intera umanità, è la persona corporativa, che rappresenta l’intero genero umano. Ciò significa che il Pianeta è affidato al genere umano nella sua totalità, non a qualcuno in particolare. Quindi ogni singolo uomo/donna ha gli stessi diritti/doveri di qualsiasi altro/a.
Conseguentemente ogni singolo uomo/donna ha il diritto/dovere di coltivare e custodire la Terra, niente di più e niente di meno. Infatti, se il comando di coltivare rimanda alla necessità per ciascuno di guadagnarsi da vivere lavorando; al tempo stesso questo coltivare non permette, né autorizza, alcun tipo di accumulo e di possesso, che vada oltre le necessità vitali, le necessità di una vita dignitosa e pienamente umana.
Contemporaneamente l’ordine di custodire la Creazione costituisce una sorta di sano realismo, dentro il quale l’umanità è chiamata a muoversi. Ovvero, proprio perché deve custodire il dono ricevuto, l’umanità non può permettersi di sfruttarlo indiscriminatamente; esattamente perché è un dono ricevuto, sul quale l’umanità non ha il diritto di decidere che farne. Ciò significa che questo obbligo della custodia e della preservazione vale indipendentemente dalle risorse ricevute e disponibili.
Tutto ciò fonda il famoso principio cardine della Dottrina Sociale della Chiesa, che è quello della Distribuzione universale dei beni. Ciò significa che i beni della Creazione, ripeto, di proprietà esclusiva di JHWH, vengono dati all’umanità nel suo insieme, perché ciascun uomo e ciascuna donna, attraverso il proprio lavoro (non attraverso i programmi assistenziali) possa ricavarne il necessario per la sua sussistenza come figlio di Dio e fratello di Gesù. Pertanto, ogni forma di proprietà privata è radicalmente subordinata a questo principio fondamentale. Ciò significa che, nel caso di un conflitto tra i due, prevale necessariamente il primo, ovvero la Distribuzione universale dei beni.
Non solo, ma l’umanità ha il dovere, non solo il diritto, di regolamentare l’esercizio della proprietà privata. Innanzitutto strutturando la società in modo tale che sia garantito il diritto sacro ad una vita dignitosa e si promuovano le necessarie misure in vista del raggiungimento di tale diritto. Conseguentemente è dovere, non solo diritto, degli organismi universali limitare, o sanzionare, quegli abusi della proprietà privata, che di fatto pregiudicano il raggiungimento di quanto detto sopra.
Da questa rapidissima carrellata risulta chiaro quanto siamo distanti dal dettato biblico, espresso dal testo di Gen 2. Questa distanza sarebbe comprensibile, pur non essendo giustificabile, se fosse solo un problema della società civile, o di culture non contaminate dal cristianesimo. In realtà la vera tragedia sta nel fatto che gran parte dei cosiddetti cristiani è lontana anni luce da queste prospettive bibliche. Prova ne è il fatto che persone che si dicono cristiane siano le più acerrime nemiche di un sistema di tassazione proporzionale al reddito, o alle più variegate forme di patrimoniale.
La cosa scandalosa è che il cristiano medio, compresa la gran parte dei praticanti più fedeli, nel discorrere comune è più preoccupato di salvaguardare i diritti alla proprietà privata, piuttosto che preoccuparsi per coloro che questo diritto non possono neanche esercitarlo, non avendo alcuna proprietà. Anzi la questione diventa ancor più peccaminosa, perché la gran parte dei nostri assidui frequentatori finge di non sapere, che proprio l’eccessiva concentrazione di beni, ovvero l’abuso di proprietà privata, è la causa principale della vita disumana di una grossa fetta dell’umanità.
Prima di concludere vorrei fare un brevissimo accenno al nome del nostro primogenitore, che in realtà racchiude in sé tutti noi. Adam, come ho detto, sembra derivare dal sumerico: padre-mio. Va anche detto, però, che per assonanza richiama evidentemente il termine ebraico adamà (terra, suolo). Dunque l’Adamo-Umanità è terra, suolo, non semplicemente perché fatto anche di terra; è terra perché è parte di essa, è una parte minuscola, seppur consapevole, di questa realtà materiale che chiamiamo Terra, Pianeta, Natura. Certamente non è solo questa componente materiale; così come la Bibbia non attribuisce carattere divino alla Terra. D’altro canto sono completamente inspiegabili le polemiche artificiose montate ad arte in occasione del Sinodo Pan-amazzonico, quando si è cercato di dialogare con il mito indigeno della Pachamama.
Dialogare con una cultura non significa battezzarla, o abbracciarla in toto, bensì cercare i punti di convergenza per costruire assieme il Regno di Dio. Esattamente ciò che la Chiesa fa fin dai suoi inizi. Il Concilio di Gerusalemme scaturì anche da questa esigenza di dialogo con i primi cristiani, provenienti dal paganesimo e non dal giudaismo. Tutti i principali dogmi della nostra Fede, che gli atei devoti sbandierano come scimitarre, furono elaborati secondo le categorie della filosofia ellenistica, certamente non cristiana. Ancora una volta “Alla Sapienza è stata resa Giustizia dalle sue opere” Mt 11,19.
Pe. Marco