Il titolo che ho voluto dare a questo articolo, parafrasando il Sal 8,5, non nasce da un appello più o meno accorato rivolto al Signore del Cielo, perché si prenda cura dei nostri anziani. In realtà il motivo, che mi ha spinto a scrivere queste riflessioni, è il desiderio di richiamare l’attenzione sulla realtà dei nostri padri e dei nostri nonni, sempre più fuori posto in questa nostra società.
Come tutte le profezie, anche la realtà della vecchiaia serve più a rievocazioni strumentali del passato, che non per interpellare il nostro presente/futuro. In questo senso non voglio assolutamente rivangare sulle vittime innocenti di questa pandemia, colpevoli solo di avere qualche anno in più.
In realtà mi piacerebbe, attraverso questi spunti di riflessione, dar voce agli anziani in carne ed ossa ancora vivi. Sì, vorrei qui richiamare quanto siano ancora, inesorabilmente, dimenticati, soprattutto nelle RSA. Purtroppo, senza voler puntare il dito contro nessuno, ma riconoscendo un nostro peccato sociale, la realtà delle RSA sono il frutto di un modello socio-economico, quello capitalista avanzato, nel quale chi non produce e poco consuma diventa più un peso, che una risorsa. Ed ecco che, non senza riserve, destiniamo loro un po’ di risorse per la loro conservazione fisica e nulla più. Anche in questo caso assistiamo al verificarsi di quel terribile fenomeno magistralmente descritto da Giorgio Agamben della “nuda vita biologica”.
Infatti, il nostro neoliberismo avanzato procede in modo sistematico nel ridurre la vita umana a questo livello minimo. Come già abbiamo osservato nel caso dei migranti, o delle vittime delle ricorrenti carestie, il nostro Occidente opulento condivide qualche briciola delle sue ricchezze con queste categorie “non produttive”, per garantire la loro sopravvivenza biologica, ma non riesce a chiedersi, che tipo di persone siano queste e di che cosa abbiano realmente bisogno.
A me pare che questo tipo di logica perversa ed escludente stia operando nel nostro modo di trattare i nostri anziani, soprattutto quelli rinchiusi nelle RSA. A me risulta sempre più nauseante assistere alla martellante, quanto vuota discussione riguardante il MES, mentre nessuno dei nostri politicanti si chiede: “Di che cosa hanno realmente bisogno le migliaia di anziani delle nostre RSA?”. Infatti, se spendessero qualche minuto per incontrare qualcuno di loro, si sentirebbero ripetere a chiare lettere: “Ho bisogno di riabbracciare i miei figli ed i miei nipoti”.
Dopo tutto il clamore suscitato per il comportamento disinvolto di alcune RSA all’inizio della pandemia, risulta inspiegabile l’attuale abbandono. Forse a qualcuno sembrerà eccessivo il tono di queste mie affermazioni, pensando che, in fondo, questo isolamento nasce dalla preoccupazione di evitare nuovi contagi. Certamente la preoccupazione è legittima e non penso minimamente che si debba permettere un accesso indiscriminato agli ambienti di queste strutture. D’altro canto trattare ogni essere umano come una persona, o come un figlio di Dio per chi è credente, significa lasciargli la libertà di dire ciò di cui ha bisogno; oppure immedesimarsi nella sua condizione, qualora non riesca a comunicare.
Ed ecco che, a questo livello del problema, la realtà dell’anziano nella sua estrema fragilità ci obbliga ad approfondire domande e questioni solo sfiorate nel corso della pandemia. Lungi da me l’irrazionalismo di Trump e Bolsonaro, o dal cinismo dei magnati dell’economia, una delle domande fondamentali sollevate dal COVID19 riguarda la Vita umana in quanto tale ed il suo senso qui su questa Terra. Sull’onda del materialismo edonista, che attraversa tutte le nostre esistenze, ci siamo buttati in una difesa ad oltranza della “nuda vita biologica”, sacrificando ad essa valori, che ci sembravano intoccabili fino a qualche mese fa. Purtroppo questa reazione è facilmente spiegabile in una cultura che da decenni ormai considera la morte fisica come un accidente e, pertanto, imposta tutta l’esistenza come se non dovessimo mai morire.
Portando alle estreme conseguenze questa illusione, in un tentativo prometeico, ci si accanisce allora nel salvaguardare la “nuda vita biologica”, sacrificando ad essa tutte quelle dimensioni del vivere che lo rendono invece pienamente umana.
Invece, sia che partiamo da una prospettiva laica come quella heideggeriana “dell’essere per la morte”, sia che assumiamo la prospettiva cristiana della “Vita Eterna”, la “nuda vita biologica” e la sua fine naturale non sono la dimensione ultima e più importante. Invece, la morte fisica è un richiamo ineludibile a prendere sul serio l’esistenza, per poterla vivere nella sua pienezza e nella sua autenticità. Forse la prospettiva heideggeriana non riesce fino in fondo a dare senso a questa nostra esistenza.
Invece la prospettiva cristiana trova la sua ragion d’essere giustamente nella prospettiva della Vita Eterna, che è ben più e va ben al di là della vita dopo la morte. Infatti, come ben ci spiega San Giovanni, la Vita Eterna è vivere l’esistenza come Gesù l’ha vissuta. Questo modo di esistere, oltre a vivere in pienezza questa vita terrena, continuerà anche dopo la nostra morte biologica. A partire da questa prospettiva di pienezza esistenziale, il cristiano non può accettare di ridurre la sua ed altrui esistenza ad una mera sopravvivenza biologica. In questo senso personalmente ritengo che il mondo cristiano non abbia saputo smarcarsi dalle legittime preoccupazioni statali volte a salvaguardare la vita biologica. A parte le solite lodevoli eccezioni, le voci ufficiali della Chiesa si sono limitate a ripetere gli appelli civili rivolti ai rispetti dei protocolli. Ora che si è attenuata la paura generalizzata di morire, possiamo anche riflettere in modo più pacato su tutte queste domande sollevate dal COVID19. Ed ecco che la mera prospettiva biologica non ci può bastare. Come era prevedibile, la nostra prospettiva economicistico-materialista, ancora in pieno lockdown, ha elaborato sofisticati protocolli per non fermare il Paese. Come mai, allora, dopo circa quattro mesi dalla chiusura delle RSA, non si è riusciti (non si è voluto?) elaborare dei protocolli per permettere delle visite degne di questo nome? Infatti non credo si possano chiamare visite 15-20 minuti settimanali passati a due metri di distanza, separati da un plexiglass!
Possiamo chiamare vita autenticamente umana, quella di coloro che possono contare sulle migliori cure sanitarie, ma tagliati fuori dalle principali relazioni affettive? Ma nel cuore del turbocapitalismo le apparecchiature sanitarie, anche per gli anziani, servono per fare business; mentre gli affetti ed i valori della Vita sfuggono ad una quantificazione monetaria.
Purtroppo, mentre stiamo uscendo dal lockdown, sembra che abbiamo già dimenticato quello slogan meraviglioso “mai più come prima”. Anzi, il virus, ancora strisciante nei meandri della nostra esistenza, sembra rendere la nostra società peggio di quello che era prima.
d. Marco Bassani
Comunità Pastorale di Dervio-Valvarrone