Cari amici del Centro Padre Nostro,
sollecitato da Maria Pia, vi scrivo queste semplici riflessioni senza alcuna pretesa particolare, se non quella di una condivisione fraterna. Spero di contribuire in modo semplice a far risaltare l’umile e sfolgorante testimonianza di don Pino. Le mie collocazioni non seguiranno un particolare filo logico, perché non intendono dimostrare nessun teorema.
La prima intuizione mi viene ripensando le varie entrate ed uscite da Brancaccio. Non vi è chi non veda qualche segno di lui, don Pino. Già questo basterebbe per dire la bontà del vostro lavoro, perché questi segni obbligano a chiedersi: chi era costui? In effetti questi segni e riferimenti esteriori trovano riscontro nel continuo rimando a lui da parte di tutti gli operatori, a volte quasi come ad un rimando mitico, visto che la gran parte di voi non lo ha conosciuto, o frequentato personalmente.
Questo processo, che è la traditio, la trasmissione di un fatto, o di una storia, è certamente il fenomeno più complesso e più rischioso, ogniqualvolta ci troviamo a dover mantener vivo qualcosa d’importante. Basti vedere cosa è successo con la Tradizione della Chiesa ridotta a tradizionalismo…
Ecco, su questo aspetto della tradizione/trasmissione della memoria di don Pino, mi soffermerò brevemente.
Partirò da una costatazione quasi banale: non basta la parola! Ovvero, non basta dire don Pino per rendere ragione di lui e del suo martirio. Così come non basta dire cristiano cattolico per essere discepolo di Gesù; o dire Chiesa per essere il Corpo del Cristo vivente. Parafrasando il famoso detto di Gesù: dopo che sono stati uccisi, tutti vogliono essere riconosciuti come amici dei martiri. Anche don Pino, come ben sappiamo, non è stato ucciso solo dai due sicari e dai loro mandanti. Però adesso che non può parlare, tutti rivendicano qualche legame con lui. Orbene, questo discepolato posticcio può essere molto pericoloso, perché il don Pino reale rischia di dissolversi in un flusso incontrollato di opinioni e di sensazioni molto soggettive e non sempre fondate nella realtà.
Mentre risalivo la Penisola in treno, mi sono chiesto più volte, perché nell’attuale struttura del Centro non abbia incontrato collaboratori diretti di don Pino. Per onor del vero devo riconoscere di non aver mai posto la domanda a nessuno. Forse, però, una certa solitudine del don Pino cinematografico porta in sé qualcosa di vero. Altro discorso, invece, andrebbe fatto sui ragazzi e gli adolescenti dell’epoca: veri e propri testimoni della prima ora.
Se devo citare un esempio positivo, mi ha molto colpito la presentazione appassionata e meticolosa, direi quasi filologica, di Maria Assunta. Attraverso le sottolineature dei libri letti da don Pino, riesce a rendere presenti i suoi pensieri e le sue emozioni. Elementi questi fondamentali per intendere poi il suo agire.
Più problematiche altre presentazioni, alle quali ho assistito. Lo dico tenendo conto della gravità della posta in gioco. In diverse occasioni ho chiesto: ma perché è stato ucciso don Pino? Ma raramente ho ricevuto una risposta convincente.
Per qualcuno, purtroppo, parlare del nostro Martire è un’occasione per parlare di sé e del privilegio di averlo incontrato personalmente. Ma anche ridurre la testimonianza di don Pino al suo sorriso e ad un vago amore per i ragazzi, non rende ragione della sua grandezza e, soprattutto, del suo martirio. Ripensando alle moltissime analogie con le mie disavventure brasiliane, un generico rimando alla passione missionaria e all’amore per i poveri, non renderebbe ragione del perché della mia espulsione dalla Diocesi brasiliana ad opera di un vescovo della Chiesa.
Ecco allora l’importanza di saper ricostruire fatti e comportamenti, collocati nel contesto sociale e religioso di Brancaccio e della Palermo di trent’anni fa, per sottolineare la radicalità evangelica delle sue scelte. Ma questa radicalità è ciò che gli ha procurato le resistenze e le ostilità, fino al martirio.
Dentro questa prospettiva, tenuto conto della grandezza che ha raggiunto il vostro Centro di accoglienza, penso sia importante interrogarsi sempre sul come portare avanti la sua memoria; né più né meno come dovrebbe avvenire per il Memoriale per eccellenza, quello di Gesù Cristo: l’Eucaristia. Infatti, anche in questo caso, potremmo rileggere tutta la nostra fragilità ecclesiale sulla falsariga dello progressivo svuotamento di questo Sacramento: da Memoria della prassi liberatrice di Gesù è stato in gran parte ridotto a ripetizione anonima e meccanica di un gesto e di alcune Sue parole finali.
Analogamente, seppur in modo quasi impercettibile, potremmo illuderci di fare memoria di don Pino, realizzando pari, pari qualche sogno, o qualche desiderata, che è possibile rinvenire nei suoi scritti. Già questo livello non è banale e merita lode. Ma, forse, la memoria di lui la si coltiva più radicalmente, mettendo a fuoco il perché avrebbe voluto fare quella tal cosa e con quale finalità. In altre parole, cercando faticosamente di evincere quali strutture di peccato e di oppressione pensava di intaccare, mettendo in atto processi alternativi.
Queste sottili, ma decisive differenze, ci allenerebbero a guardare e a giudicare la realtà di oggi con gli occhi don Pino. Ciò è molto più rivoluzionario, che il realizzare materialmente un’opera da lui in qualche modo vagheggiata. Infatti, nonostante una certa apparente continuità, la realtà è molto cambiata nel corso di questi ultimi trent’anni e non è detto che ciò che era profetico allora, lo sia automaticamente adesso.
Questa tensione ad essere fedeli “allo sguardo ed alla prassi di don Pino” sicuramente è ciò, che lo rende perennemente presente, anche ad anni di distanza dalla sua morte.
Forse questa fedeltà potrà suscitare le stesse inquietudine e le stesse ostilità incontrate da don Pino. Forse renderà più difficile l’accesso a bandi e finanziamenti per realizzare i vari progetti.
Ma questo sarà anche il segno inequivocabile, che il Centro Padre Nostro è il Memoriale vivente di don Pino Puglisi.
Grazie ancora per quanto state facendo e spero di rincontravi presto.
don Marco