Cecità
A margine di Es 33,18-34,10; 1Cor 3,5-11; Lc 6,20-31
Le letture di questa domenica, dopo la dubbia (contro)riforma del Lezionario Ambrosiano, sono un tipico esempio di accostamento di testi, che solo qualche liturgista fuori dalla realtà poteva inventare. Infatti dal testo di riferimento, che è sempre il Vangelo, si poteva costruire un insieme ben più organico e provocante, per dare rilievo al binomio perennemente inquietante: Beati voi poveri, … guai a voi ricchi. Questa Buona Novella, questo lieto annuncio, che è la sintesi più paradigmatica del Vangelo, grazie a Dio, ci inquieta e ci sprona, nonostante tutti i tentativi, ecclesiastici e cultuali, di “ammorbidirne” la portata, per renderla meno scomoda per il nostro cristianesimo ancora troppo appiattito sulla “logica del mondo”.
Pertanto non cercherò i tenui, quanto inutili, legami con le altre due letture, e mi concentrerò solo sul Vangelo. Così pure non pretendo approfondire la classica differenza nella redazione delle Beatitudini, tra la versione di Luca e quella di Matteo.
Come sempre, Gesù, che è disceso dal Cielo, per prendersi cura di noi, dell’umanità, nella concretezza dei suoi problemi e delle sue necessità, dicevo, questo Gesù, sempre lontano dal parlarci “del sesso degli angeli”, prende spunto dalla situazione concreta, che ha davanti agli occhi. Ovvero un contesto sociale marcato da profonde e laceranti ingiustizie, dove i poveri e gli esclusi, di ieri e di oggi, sono coloro che più lo cercano e si appellano a Lui. Viceversa, coloro che possono contare sulle ricchezze e le risorse materiali sono coloro che meno lo cercano, perché pensano di non averne bisogno e di poter risolvere tutto coi loro talenti e i loro soldi. Ebbene questo preciso contesto storico-sociale è la cornice nella quale dobbiamo collocare e intendere il senso delle Beatitudini lucane.
Orbene, queste attitudini di quegli uomini concreti portano Gesù a proclamare queste massime, che trascendono quel contesto e quella contingenza. Ovvero, Gesù vuole lanciare un messaggio e dare un’allerta: a chi è povero e soffre di questa sua povertà ed esclusione, qualunque sia la causa e l’origine, annuncia una speranza, talora oltre ogni speranza: voi avete un posto privilegiato nel cuore del Padre. Lui si prende cura di voi, laddove gli uomini vi hanno abbandonato. Per Lui siete importanti e preziosi e potete contare su Lui nella vostra ricerca di vita e dignità. Il Regno di Dio, ovvero il mondo, la società giusta e buona, resa tale dalla accoglienza di Dio e della sua Parola, vi appartiene e il Padre è impegnato perché possiate entrarvi a farne parte di fatto.
Le citazioni della fame, del pianto e delle persecuzioni sono esempi, per niente esaustivi, di povertà, di carenza. In questo senso, senza cadere in nessuna forma di pauperismo, o di esaltazione del dolore, le povertà e le ingiustizie, paradossalmente, possono aiutarci a riconoscere la nostra povertà più profonda ed esistenziale, che è il nostro essere creature, finite e mortali, radicalmente dipendenti dal nostro Creatore e Padre. Quindi le povertà e le ingiustizie, se da un lato ci riconducono al nostro essere più profondo e più vero, dall’altro ci aiutano a percorrere il giusto cammino per superarle: l’obbedienza alla Parola del Padre.
Sull’altro versante, in una prospettiva profondamente esistenziale e rispettosa della nostra libertà, Gesù, attraverso i “Guai”, lungi dal voler maledire qualcuno, vuole invece fare ai “ricchi” un annuncio appassionato, perché colgano la radicale inconsistenza dei loro sogni e dei loro progetti. Infatti, osservando l’uso dei verbi, risulta chiaro come i benefici dei beni materiali e dei piaceri annessi, sono di un momento fugace, senza alcuna prospettiva di futuro. Anzi, per il primo e fondamentale “guai”, per indicare gli effetti e le conseguenze della ricchezza, si usa il verbo al passato “già avete ricevuto”; come a dire che le ricchezze offrono dei benefici e delle sicurezze nate già morte; se vogliamo, senza futuro.
In questo senso e per questi motivi, chi volesse costruire la sua vita e la sua felicità investendo nell’accumulo dei beni e nella ricerca del piacere, fine a sé stesso, non può certamente fare appello alla benedizione del Padre, o collocare il nome di Dio a coronamento e distintivo del suo percorso di morte e di illusioni. Il Padre di Gesù, la Fonte della Vita, non può assolutamente essere confuso e coinvolto nei nostri percorsi di morte e di autodistruzione. Tranne che, accogliendo il Suo appello accorato, ci risvegliamo dal nostro torpore e dalla nostra cecità esistenziale e cominciamo ad orientare la nostra ricerca, non più rivolta al benessere materiale, bensì al Regno di Dio e la Sua Giustizia.