“Badate che nessuno v’inganni! Molti verranno nel mio nome, dicendo: “Sono io”, e trarranno molti in inganno. E quando sentirete di guerre e di rumori di guerre, non allarmatevi; deve avvenire, ma non è ancora la fine. Si solleverà infatti nazione contro nazione e regno contro regno; vi saranno terremoti in diversi luoghi e vi saranno carestie: questo è l’inizio dei dolori. Ma voi badate a voi stessi! …Ma prima è necessario che il Vangelo sia proclamato a tutte le nazioni“.
Il Vangelo ambrosiano di questa domenica, Mc 13,1-27, rischia di essere derubricato ad una delle tante narrazioni sulla fine del mondo. Certamente sarebbe anche legittimo mostrare la differenza tra l’Escatologia cristiana e la naturale paura degli umani nei riguardi di quegli eventi finali. Eppure, queste versioni sinottiche dei discorsi escatologici di Gesù contengono una ricchezza psicologica e spirituale uniche, che proverò a condividere con voi.
Indubbiamente quest’anno, risentire queste parole, provoca in noi un effetto singolare, tenuto conto della tragedia, che si sta consumando vicino a quel Tempio. Però, questa versione di Marco può essere particolarmente interessante, perché sembrerebbe non risentire dell’effettiva distruzione del Tempio, operata da Tito nel 70 d.C; cosa che invece è ben presente nelle stesure di Matteo e di Luca. Quindi ci troviamo molto più a contatto con l’originaria riflessione di Gesù.
Come sempre Gesù arriva diretto alla posta in gioco e la posta in gioco è l’universale tragedia di fare i conti con la fine. Sì, la fine di tutto e dunque anche la nostra fine; o se volete, con la nostra fine tutto finisce per noi. Gesù, conoscendo bene gli stratagemmi e le menzogne, con le quali fuggiamo da questa verità, mette i discepoli di fronte alla fine del Tempio. Parlare di fine del Tempio per un ebreo devoto è molto più che un problema di ingegneria e di architettura. Significa rievocare la tragica distruzione ad opera di Nabucodonosor, con la conseguente fatica per far rinascere la vita di un intero popolo. Quel Tempio, che Gesù e i discepoli hanno davanti agli occhi, porta in sé le fatiche e la storia di un intero popolo. Quindi è un prodotto architettonico e spirituale ad un tempo. Ebbene, anche lui con tutta la sua magnificenza e grandezza finirà un giorno.
Questo accenno alla fine del Tempio diventa un pretesto per Gesù e per Marco, per parlare della fine, che toccherà ai discepoli a causa delle guerre e delle persecuzioni. Prima però di dilungarsi in questa serie di esempi, Gesù mette in guardia i suoi discepoli dall’irrazionalità frutto della paura: “Badate che nessuno v’inganni! Molti verranno nel mio nome, dicendo: “Sono io”, e trarranno molti in inganno. E quando sentirete di guerre e di rumori di guerre, non allarmatevi; deve avvenire, ma non è ancora la fine. Si solleverà infatti nazione contro nazione e regno contro regno; vi saranno terremoti in diversi luoghi e vi saranno carestie: questo è l’inizio dei dolori. Ma voi badate a voi stessi! …Ma prima è necessario che il Vangelo sia proclamato a tutte le nazioni“.
Senza soffermarci nell’analisi delle singole immagini, ciò che balza all’attenzione è il contrasto stridente tra questi spaventosi scenari di morte e la preoccupazione per l’annuncio del Vangelo. Apparentemente questo accostamento sembrerebbe una presa in giro: a fronte di tali e tante tragedie, figuriamoci chi si preoccupa di annunciare il Vangelo. In realtà, a me pare che questa apparente distanza di Gesù contenga una verità radicale.
Infatti, l’uomo e la donna, soli con sé stessi, devono continuamente fare i conti con la propria morte fisica, il proprio venir meno, la fine. E’ esattamente questa sensazione profonda, prima ancora che il pensiero della morte, che scatena in noi gli atteggiamenti più bestiali. Probabilmente questi atteggiamenti irrazionali, addirittura contro i propria familiari, nascondono il nostro tentativo di salvarci da una fine, che incombe su di noi e cerchiamo di eludere distruggendo i nostri simili.
La paura di morire, del venir meno, se lasciata a sé stessa produce solo morte e distruzione.
L’annunciare il Vangelo, lungi dall’essere un invito a improbabili campagne propagandistiche, vuole indicare ai discepoli di tutti i tempi il fine della propria esistenza e di quella di tutta l’umanità. Solo la memoria di questo fine, il Vangelo con il Regno che egli ci svela, possono salvarci dalla disperata fuga dalla fine.
Avendone già parlato settimana scorsa, mi tratterrò dal rileggere l’attuale crisi medio orientale alla luce di queste riflessioni. D’altro canto, non ci vuol molto nel rileggere la storia recente della Palestina, come frutto della paura reciproca di essere annientati dall’altro popolo.
Ma anche l’irrazionale irrigidimento dell’Europa di fronte al fenomeno migratorio, affonda le radici in paure ancestrali, più che in motivi logici e razionali. Purtroppo, quest’ultima sembra riprodurre la stessa incapacità dell’Impero Romano, nel gestire le famose popolazioni “barbariche”. Però, oggi come allora, il problema più che nella “bestialità” di quelle popolazioni sta nello sfaldamento morale e spirituale dell’Europa, che ha dimenticato il suo fine ed è terrorizzata dalla possibile fine del suo benessere materiale.
Pe. Marco