Per questo fine settimana “ridondante di Luce”, preferisco fare una riflessione complessiva sul senso di questa Festa, piuttosto che soffermarmi sulle singole letture.
Vorrei prendere la “rincorsa”, partendo dal Vangelo dell’ultima Domenica di Avvento, con quell’albero genealogico di Gesù. Certamente i più sentiranno un certo disagio, ascoltando la ripetizione di questa lista infinita di nomi. Indubbiamente l’autore, con un approccio tipicamente semitico, ha voluto racchiudere la Benedizione divina in una struttura simbolica. Infatti i progenitori di Gesù sono racchiusi in tre gruppi di quattordici persone e il quattordici è composto da sette per due; ovvero, Gesù è il frutto pieno e maturo della benedizione di Dio.
Ma il dato che mi piace richiamare, assolutamente ovvio per i frequentatori della Sacra Scrittura, è che questa benedizione si trasmette attraverso le varie generazioni; ovvero il generare umano è il luogo privilegiato dell’incontro tra Dio e il suo popolo e, attraverso il generare, il venire alla luce, la potenza creatrice di Dio è donata agli umani. Certamente questa visione riflette la meraviglia dell’uomo e della donna dell’antichità di fronte al prodigio della vita, che appare quasi miracolosamente dalle nostre viscere; in un’epoca in cui, ovviamente, non si conoscevano le leggi della biologia e della ginecologia. D’altro canto, i prodigi della tecnica non possono e non devono toglierci questo sguardo contemplativo su quello, che continua ad essere uno dei più grandi prodigi della Creazione. Senza voler sminuire le conquiste della scienza, attraverso il recupero di tutti gli aspetti umani e naturali del generare, abbiamo bisogno di lasciarsi trasportare dalla contemplazione estatica del compiersi di questo grande Mistero: il venire al mondo di una nuova creatura.
Così, come tutte la manipolazioni ideologiche di questo evento ci hanno ripiegati tristemente su noi stessi, “chiudendo il Cielo” sopra di noi; allo stesso modo, il recupero di una relazione positiva con il prodigio del generare, non può che “riaprirci quel Cielo”, farci rincontrare il Creatore e Signore della Vita, sia a livello personale, che a livello sociale e culturale.
Un altro dato interessante di quella genealogia è il carattere “bastardo, contaminato” del sangue di Gesù. Infatti, tra i progenitori di Gesù l’autore evangelico ha collocato: una pagana (Rut la moabita), una prostituta (Racab) e due adulteri (Davide e Bersabea, la moglie di Uria). Come dire, Gesù da sempre, sin “dal grembo materno”, porta in sé tutta la nostra umanità, con tutti i nostri limiti e le nostre fragilità. Ma è proprio perché ha assunto tutto di noi, che il suo cammino, la sua vita, è la nostra Liberazione. In Lui la nostra umanità percorre quel cammino di Liberazione, piena e definitiva, alla quale da sempre aneliamo. Anzi, come accennavo parlando della “predestinazione in Cristo”, Lui ci mostra il cammino per ritornare al progetto originario del Padre, a quell’ uomo e a quella donna, che Lui ha sognato, quando ci creò.
Il Vangelo della nascita, che si legge nella Messa del giorno di Natale, ci disarma e ci spiazza ogni anno con questa opzione divina, che raramente noi accettiamo e mettiamo in pratica: la scelta della povertà e dell’essenzialità di fronte alla missione che deve compiere. Anche quest’anno, pregando su questo Vangelo, mi sono chiesto perché il Messia non ha voluto nascere nel palazzo del re, o del governatore? Infatti, anche noi cristiani, ancora oggi, dopo duemila anni di cristianesimo, istintivamente siamo portati a credere che dall’alto, dai potenti e dal potere, possa venire la soluzione ai nostri innumerevoli problemi. Ecco allora che, di fronte a qualsiasi situazione, ci si preoccupa, o di “convertire” i potenti, perché promuovano il bene della società, o d’insediarsi al potere per raggiungere lo stesso obbiettivo.
Il Vangelo del Natale ci dice inequivocabilmente che questo percorso è sbagliato, o perlomeno, illusorio; altrimenti Gesù l’avrebbe seguito Lui per primo.
Cercando di capire questa scelta divina, mi vien da dire che “stando in alto”, stando al potere, c’è sempre il rischio di confondersi con Dio, di pensare di illudersi di essere lì “al posto di Dio, facendo quasi le sue veci”; ma, a quel punto, è un attimo sostituirsi a Lui, fare tutto anche in Suo Nome, ma senza più chiederci cosa Lui farebbe e come lo farebbe. In fondo non siamo già stati scelti e messi in quella posizione di comando da Lui stesso?
Pur non garantendo niente e nessuno, la condizione di povertà e di essenzialità, invece, obbligandoti a vivere nella dipendenza, ti aiuta a ricordarti chi sei realmente. Come la storia insegna, la miseria può portare a forme di schiavitù e di dipendenza a causa del bisogno. Ma la povertà e l’essenzialità, se sono frutto di una scelta, ci aiutano a riconoscere che siamo delle creature, che dipendono profondamente dal Padre e dai fratelli.
Gesù, infatti, nella sua povertà, vive costantemente proteso nel dialogo con il Padre, per attingere in Lui luce e forza per la Sua missione. Per altri versi, si propone ai fratelli nella più assoluta libertà, lasciando ciascuno libero di riconoscere ed accettare la Sua proposta di Vita. Così la Salvezza entra nella vita degli uomini nella forma della testimonianza di un uomo, Gesù di Nazareth, che vivendo nel totale affidamento al Padre, si offre ai fratelli, a ciascuno di noi, perché, a nostra volta, possiamo apprendere a seguire il Suo stesso cammino. In questo modo, come spesso ci ricorda Papa Francesco, il Vangelo, la Salvezza, la Liberazione, si diffondono e crescono per contagio, per assimilazione, grazie alla testimonianza di vita di chi già si è lasciato contagiare da Gesù.
Sempre parafrasando il nostro Papa, non dovremmo mai stancarci dal richiamare la radicale differenza tra la Liberazione, portata da Gesù, e tutte le forme di proselitismo, che sempre accompagneranno la storia umana. Non a caso le varie forme di proselitismo si fondano, o presuppongono, qualche risorsa potente, o miracolosa, per attrarre i proseliti e renderli schiavi dell’ideologia o del guru di turno.
Benché, ovviamente, con la bocca dichiariamo di non voler fare proselitismo, ciò non significa, automaticamente, che abbiamo capito e, soprattutto, crediamo nel valore dell’Incarnazione, del Vangelo, che nasce dalla mangiatoia. Mi pare che, soprattutto in questo tempo di “crisi”, invece di coltivare più profondamente il valore della testimonianza, il più delle volte ci accontentiamo di trascinare in tutti i modi qualcuno dentro i nostri ambienti, dalle case di formazione, agli oratori, dalla catechesi ai vari sacramenti, con la scusante che tanto poi “la Grazia farà il resto”. Mi pare invece che Gesù, pur offrendosi liberamente a tutti come Buona Novella, non abbia però fatto sconti di nessun tipo sulla qualità del Vangelo, accettando fino in fondo il rischio di interagire con la nostra libertà, fino alla possibilità del nostro rifiuto. Ma anche questa dimensione fa parte della logica “della mangiatoia”, anzi, forse questa è la forma più grande di povertà…
Buona Festa dell’Incarnazione per tutti noi…
don Marco