Rieccoci ad un nuovo inizio, sì oggi, per noi ambrosiani, inizia un nuovo anno liturgico; ovvero quella santificazione del tempo, che noi cerchiamo di vivere meditando sulla vita storica di Gesù di Nazareth. Perlomeno così dovrebbe essere e così è nel Rito Romano. La nostra controriforma liturgica non ci permette più di vivere questa dinamica, ma tant’è; vediamo perlomeno di entrare in questa nuova attesa. Ma attesa di che?
Come ormai ci è notorio, l’attesa della Festa del Natale di Gesù di Nazareth viene vista dalla Chiesa come occasione propizia per riflettere sulla grande Attesa, sull’Attesa della nostra vita, o, se volete, sulla vita che è essenzialmente un’Attesa. In questa prospettiva dobbiamo ascoltare e meditare le letture di questa domenica, tutte marcate dalla chiara tendenza escatologica.
Sempre, in queste occasioni, bisogna spendere qualche parola per spiegare il linguaggio colorito di questi testi; troppo forte per le nostre orecchie ed il nostro cuore sempre in cerca di cose “soft e light”. In realtà, gli autori biblici, più preoccupati con la Verità, che con la complicità, con queste immagini forti cercano di risvegliarci dai nostri toni perennemente sfumati e indefiniti, per dirci che questa è la Questione della nostra vita:
l’andare incontro, il tendere verso il Creatore della Vita.
Questa attesa è ciò che dà senso al nostro desiderare ed al nostro sognare. Ogni nostra tensione verso il futuro ed ogni nostro progetto, se non viene purificato nel fuoco di questa Attesa, finisce per essere come il famoso “cane che si morde la coda”: tutto ripiegato su stesso, in uno spreco di energie perfettamente inutile, improduttivo.
Di fronte a quella che è la Questione della nostra vita, ecco la drammatica preoccupazione di Gesù, nel richiamarci ancora una volta dal pericolo di essere ingannati dagli immancabili “venditori di fumo”; dai seduttori, che ben conoscendo il carattere decisivo di quest’attesa, cercano di trarne beneficio, vendendoci salvezze e realizzazioni a basso costo, da discount.
In questo, come in tutti i Vangeli escatologici, Gesù è inequivocabile: né i cataclismi, né le peggiori persecuzioni sono segnali dell’imminente Parusia, della fine del mondo. Solo quando “il vangelo del Regno sarà annunciato in tutto il mondo, perché ne sia data testimonianza a tutti i popoli; e allora verrà la fine”, ovvero solo quando il Padre lo vorrà, il mondo verrà riassorbito in Lui.
Invece la vera sfida sta nel riuscire a sostenere questa “insopportabile Attesa”, perché è della nostra caducità umana cercare risposte e compensazioni facili ed immediate.
Ma Gesù è ben chiaro: “Guardate di non allarmarvi, perché deve avvenire, ma non è ancora la fine.”; ma anche S. Paolo qualche anno dopo, agli inizi della Chiesa, deve scuotere i Tessalonicesi da queste tentazioni: “Riguardo alla venuta del Signore nostro Gesù Cristo e al nostro radunarci con lui, vi preghiamo, fratelli, di non lasciarvi troppo presto confondere la mente e allarmare né da ispirazioni né da discorsi, né da qualche lettera fatta passare come nostra, quasi che il giorno del Signore sia già presente.”.
Il fatto impressionante è che tutti questi lunghi discorsi, presenti nei Vangeli, come le due Lettere ai Tessalonicesi, se andassimo ad analizzarle nel dettaglio, ci indicano un unico modo per vivere con frutto questa attesa: mettere radicalmente in pratica il Vangelo e nulla più. Questa indicazione non è un diversivo, o una distrazione, per alleggerire la nostra angoscia. Tutt’altro! Il fatto è che il Vangelo è la Vita Eterna; pertanto più lo viviamo, più lo facciamo nostro pane quotidiano, più entriamo a far parte di quel Regno, che la Parusia potrà solo svelarci, senza ombre e senza ambiguità.
Eppure, dopo duemila anni di cristianesimo e con circa tre secoli d’illuminismo, ciò nonostante il Vangelo non ci basta. Infatti, se è vero che per la maggior parte degli occidentali è diventato irrilevante, è pur vero che, per molti di coloro che fanno riferimento alla Buona Novella, la Parola di Dio continua a non essere sufficiente.
Per questo motivo il sottobosco cattolico pullula di presunti veggenti e fantomatici mistici, che con le loro “visioni” e, peggio ancora, con i loro farneticanti scritti, seminano la sensazione di “abbreviare il tempo dell’Attesa”, perché il Figlio dell’Uomo sarebbe tangibilmente presente e sensibilmente disponibile.
“Ecco, il Cristo è qui”, oppure: “È là”, non credeteci” e noi non ci crediamo, perché l’abbiamo già incontrato e non ce ne servono altri…
Pe. Marco