Ciao, sono Anicette, ho 26 anni, nata e cresciuta in Costa d’Avorio fino all’età di 10 anni e mezzo. In Costa d’Avorio vivevo con i miei zii di parte materna, perché i miei genitori erano qua in Europa. Tenete conto che mio papà lasciò la Costa d’Avorio nel 2002 – io avevo 3 anni – e mia mamma nel 2007, quando avevo 8 anni. Quindi avevo un bel ricordo di mia mamma, rispetto ad esempio a mio papà, che era andato via che ero piccola. Ricordavo il suo viso e quando mi chiedevano: “Dove è il tuo papà?”; ero contentissima di dire che era in Europa, anche se non sapevo cosa si intendesse per Europa, o in quale parte del mondo fosse. Però ero contenta perché suonava bene nelle orecchie di una bambina di 3-4 anni.
Lasciare la Costa d’Avorio, era lasciare quello che per me era la sicurezza. Vivevo bene in Costa d’Avorio. Non che fossimo ricchi, ma avevo una sorta di stabilità, in cui io mi trovavo bene, e avevo dei miei legami, nonostante la voglia di poter rivedere un giorno i miei genitori; cosa che si è presentata poi nel 2009.
Nel 2009 lasciare la Costa d’Avorio è stato per me lasciare tutto ciò che per me, a 10 anni, era la mia sicurezza e la mia casa. Tenete conto che da allora non sono più ritornata in Costa d’Avorio. Arrivata in Italia, perdevo tutto ciò che era stata la mia sicurezza.
Non capivo inizialmente l’italiano. Parlando il francese, dovevo rimparare una nuova lingua, che inizialmente mi sembrava difficile, impossibile. Vedevo i ragazzi africani, che incontravo a scuola, che parlavano benissimo questa lingua e mi dicevo: “Chissà quando potrò farlo anche io”. Sembrava una cosa impossibile, irraggiungibile. Però ce l’ho fatta anch’io.
Qua in Italia, oltre alla barriera linguistica, c’è stato anche il fatto di dover reimparare a vivere con questi genitori, che ho lasciato da piccola. Ho rivisto mio papà a 10 anni; mia mamma l’ho rivista dopo diversi anni. Però in Italia ho scoperto che loro erano separati. Per me era quindi un trauma abbandonare il Paese d’origine e un trauma capire che i miei erano separati, che mio papà già viveva con un’altra donna e quindi mia mamma, per poter sopravvivere, andare avanti, ha dovuto trovarsi un altro lavoro e il lavoro qui più diffuso è quello della badante. Quindi, oltre alla sicurezza che avevo perso, perché sono arrivata da un altro Paese, non avevo questa sorta di riferimento familiare. Infatti vedevo mia mamma, che faceva la badante, solo nel fine settimana. Piangevo disperatamente: “Perché non posso stare con la mia mamma h24? Ho dovuto imparare a convivere con il fatto, che dovevo condividere mia mamma. Questo perché mia mamma potesse sopravvivere.
Diciamo che gli anni sono passati, ho imparato l’italiano, sono andata a scuola. Ho fatto quasi tutte le scuole qua: le Medie, le Superiori, poi l’Università. Mi ha sempre attirato anche durante questi anni l’ambito sanitario. Quando mi chiedevano da piccola cosa volessi fare, dicevo sempre: “Il medico”. Probabilmente perché avevo l’idea di poter tornare un giorno nel mio Paese e poter aiutare le persone nel bisogno, soprattutto perché nei Paesi in via di sviluppo, come si dice, se non hai i soldi, il cosiddetto dio denaro, la tua vita non conta. Era un po’ questa idea che mi era rimasta in testa. Questa cosa, con la grazia di Dio, mi ha spinto a voler continuare gli studi. Dopo le superiori mi sono iscritta all’università, facendo il corso di scienze infermieristiche. Poi mi sono laureata e mi sono messa a lavorare nell’ambito ospedaliero.
Diciamo, che provenendo da due culture: un po’ quella africana e un po’ quella europea, particolarmente quella italiana, sono rimasta affascinata da questa doppia cultura, soprattutto dalla cultura italiana. Non soltanto sul mangiare, ma anche per il modo di comportarsi. Mi affascinava moltissimo la cultura italiana. Infatti, il più delle volte non mi definisco completamente italiana; ma allo stesso tempo non mi definisco completamente africana, o ivoriana, perché crescendo qua, vivendo qua, ho queste due culture insieme e sto cercando di farle coesistere. Qualche volta non è così semplice, perché spesso si incontrano dei pregiudizi, si incontra soprattutto il pregiudizio razzista. Soprattutto le tipiche domande: “Ma come mai parli così bene l’italiano?”, “Sei andata a scuola?”, “Ti piace l’Italia?”. Spesso viene da dire: “Guardate che io posso dire che l’Italia è un po’ il mio Paese, perché sono cresciuta qua, sto vivendo qua, ho fatto tutto qua, rispetto al mio Paese d’origine, dove non torno da 15 anni.
Questa domanda sembra banale, però spesso dà fastidio.