ebrei ed arabi si riconoscono discendenti dallo stesso patriarca fondatore: Abramo.
In questa seconda settimana della Quaresima noi ambrosiani stiamo leggendo le pagine del Libro della Genesi. Leggendo la saga del patriarca Abramo, non possiamo non leggere questa pagine, portando negli occhi e nel cuore le immagini che ci provengono da Gaza. In particolare giovedì abbiamo rimeditato Gen 16,1-15 con le vicende di Isacco e Ismaele. Premetto subito che non intendo proporvi una lettura fondamentalista di questo testo, quale soluzione di questo conflitto, che si trascina da almeno 80 anni, o forse… fin dalle origini di questi popoli. Ma forse è proprio andando all’origine di questi popoli, che possiamo trovare qualche barlume, per illuminare questo terribile presente.
Purtroppo, i limiti di questa riflessione ci impediscono di approfondire le enormi problematiche, culturali e letterarie, legate ad un testo, che affonda la sua origine negli albori della civiltà umana. D’altro canto, ormai tutti sappiamo che non dobbiamo leggere questi racconti come dei resoconti storici. Essi sono dei brani teologici e spirituali; in particolare i testi del Pentateuco sono soprattutto dei racconti eziologici. Anche il nostro non fa eccezione.
Così, se il filone principale cerca di far emergere la singolarità del popolo d’Israele, riconducendola alla nascita prodigiosa di Isacco, partorito fuori dai normali cicli riproduttivi dell’epoca; quello secondario, legato alla nascita di Ismaele, cerca di dare un senso alla presenza degli altri popoli, con i quali Israele si ritrova a convivere. In pratica la domanda soggiacente questo racconto è la seguente: se JHWH ha scelto Isacco e i suoi discendenti, per portare avanti il suo progetto salvifico, qual è il ruolo ed il senso di Ismaele e dei suoi discendenti dentro questo piano salvifico? Mi permetto di ricordare che, sia per l’Ebraismo che per l’Islam, gli arabi discendono dalle dodici tribù dei dodici figli di Ismaele.
Senza voler ulteriormente scomodare l’Islam, rimane il fatto che, benché la Bibbia voglia ricondurre la storia d’Israele ad una volontà misteriosa di JHWH, è pur vero che anche Ismaele ed i suoi discendenti fanno parte a loro modo di quel piano misterioso. Infatti, il generare nella Bibbia è segno di per sé stesso della benedizione divina, perché il generare umano è possibile solo grazie alla benedizione divina, che ci fa partecipare dell’azione creatrice propria solo di JHWH.
La nascita di Ismaele non va letta come una disgrazia, come il frutto di una relazione illegittima, extraconiugale. Infatti, secondo la concezione del tempo, quello di Abramo era un modo legittimo, con il quale il patriarca partecipava della benedizione divina. In quel contesto culturale, chiaramente maschilista, il ruolo della donna era assolutamente secondario. Ma in tal modo Ismaele ed i suoi discendenti sono a pieno titolo figli di Abramo, come è stato profeticamente riaffermato nell’incontro delle Fedi abramitiche ad Ur in Mesopotamia.
Queste annotazioni fugaci ci dicono che, se anche non volessimo arrivare alla visione universalistica del cristianesimo, ebrei ed arabi si riconoscono discendenti dallo stesso patriarca fondatore: Abramo.
Senza cadere nell’ingenuità, di dimenticare come spesso, purtroppo, ogni testo sacro è stato ed è usato per fare la guerra, penso che a questo punto della Storia sia importante riandare alle radici delle nostre Tradizioni religiose, per riscoprire e valorizzare tutto ciò che ci unisce. E non è poco, anzi!
Non solo. Approfondendo il grande patrimonio morale e spirituale che ci unisce, scopriremo probabilmente che, fin dagli inizi, questa ricchezza è stata contaminata da interessi e personalismi tipici di ogni vicenda umana.
In altre parole, dove c’è l’umano, inesorabilmente si annida sempre l’interesse di parte, l’individualismo, l’orgoglio personale e via dicendo. Il resto vien da sé…
Forse, è proprio rivedendo con libertà i limiti umani dei nostri padri nella Fede, che possiamo salvaguardare i doni inestimabili, che ci hanno lasciato e sono un patrimonio per tutta l’umanità.
E chissà che la Fede riesca in ciò che, né la tolleranza né la diplomazia, riescono più a gestire.
Pe. Marco