Questa mattina, dopo la Messa, mentre cercavo di tornare a casa rapidamente, per mettere
insieme qualcosa da scrivervi, sono stato bloccato da una telefonata di Khadija (nome di fantasia, che con molta discrezione mi chiede, com’è andata a finire quell’ipotesi di lavoro, della quale le avevo parlato giorni fa. Mentre cerco di rendere meno amara la mia risposta negativa, scopro che ieri è stata contattata dall’Assistente sociale, la quale con nonchalance le ha comunicato di aver perso il diritto al Reddito di cittadinanza di circa € 800,00. Inoltre, per il Grest il Comune le abbuonerà solo una quota, mentre le altre due, pari a € 400,00, dovrà pagarsele da sola; infatti Khadija, separata da due anni, deve mantenere tre figli, perché il quarto è in una struttura socio assistenziale ed il marito è fuggito in Africa, per non farsi carico della prole.
Chi mi conosce sa della mia contrarietà al Reddito di cittadinanza. Ciò nonostante, facendo
violenza alla mia coscienza, provo a spiegarle le nobilissime ragioni, che hanno portato alla
sospensione del suo Reddito. E lei con sconvolgente dignità mi chiede: “Ma tu lo sai da quanti
mesi sto cercando lavoro e soprattutto per questo ti ho telefonato”; come a dire: ai miei figli non posso dar da mangiare pane e demagogia…
Come ci è stato insegnato per decenni, le rigidità ideologiche non riescono ad intercettare le
variegate sfumature della Realtà. Ma peggio dell’Ideologia sono gli ideologi, che non si rendono conto di esserlo.
L’assistenzialismo è pratica abominevole, perché sotto sembianze buoniste, mantiene i poveri in una condizione di subalternità e di dipendenza strutturale. Ma, togliere il pane di bocca a dei
bambini, per alleggerire il carico fiscale di chi non sa dove andare in vacanza, è un peccato che
grida vendetta al cospetto di Dio.
Certamente a questa e ad altre migliaia di donne si doveva togliere il Reddito, dopo aver offerto loro un’ipotesi lavorativa plausibile. Ma, chi si affida ciecamente al dio Mercato per sfruttare meglio la manodopera, difficilmente potrà immaginare un’economia inclusiva, che permetta a tutti di vivere dignitosamente.
In realtà, la storia ci ha già offerto e ci offre esperienze valide di lavori socialmente utili, richiesti e offerti a chi non può reggere il peso dell’economia di mercato; ma chi ha dichiarato quelle
esperienze come brutte e cattive, difficilmente sarà disposto a lasciarsi istruire da esse.
E per concludere in gloria, di fronte a queste sfide drammatiche, anziché entrare nell’agone di
questi problemi sociali, le nostre Pastorali Sociali promuovono idilliaci incontri, per far riscoprire la dimensione sociale della famiglia. Processi che generano fraternità è esattamente il titolo, accattivante ed evanescente ad un tempo. Sia ben chiaro: il tema è assolutamente legittimo e profondamente cattolico. Però a mio avviso due sono le questioni di metodo, che andrebbero riviste.
Innanzitutto, il soggetto di riferimento per qualsiasi agire cristiano dovrebbe essere la Comunità Eucaristica. La famiglia, cristianamente intesa, è solo una parte di essa. In secondo luogo, la deriva ecclesiale, che stiamo vivendo, dovrebbe averci insegnato, che non va bene partire dai nostri ideali, dai nostri valori, dai nostri dogmi, per cercare di inculcarli nella testa e nella vita della gente.
Il metodo di Gesù e del Vangelo è esattamente inverso. Stare dentro i vissuti ed i drammi della
Vita, per incontrare lì le persone; per poi da lì con loro costruire delle risposte alla luce del Vangelo e della Dottrina Sociale della Chiesa.
Purtroppo, mi sembra, che continuiamo a fare i conti con l’1% rimasto nel recinto, affidando il
restante 99% alla Grazia…
Pe. Marco