Rosy Bindi
Ho sempre pensato Tina Anselmi come «partigiana della democrazia». La sua vita e le sue battaglie
possono essere lette in sinossi con la nostra Costituzione.
Partigiana della democrazia antifascista
La staffetta Gabriella è una ragazza di 17 anni che, di fronte alla durezza del fascismo e della
guerra e alla brutalità dell’occupazione nazista, sente il dovere morale di una scelta per la vita
contro la morte. C’è tanto coraggio in questa adolescente veneta che con la sua bicicletta
consegna messaggi e materiale bellico, partecipa ad azioni di sabotaggio, affianca il comandante
militare della regione nelle trattative per la resa dei tedeschi a Castelfranco, continuando a
frequentare la scuola e senza mai rivelare nulla alla sua famiglia.
Ma c’è anche grande coerenza con i valori del Vangelo, respirati in famiglia dalla mamma cattolica
e dal padre socialista, con la sua appartenenza all’Azione cattolica, nutrita dalle letture di Mounier,
Maritain, Bernanos e Péguy, suggerite da Domenico Sartor.
Nella sua autobiografia, Anselmi ricorda il momento in cui sentì che bisognava schierarsi, quando
insieme ai suoi compagni di scuola fu costretta ad assistere all’impiccagione pubblica di un gruppo
di ostaggi. Ma altrettanto significativo è il ricordo di Gino Sartor, comandante della sua brigata,
che in una fase particolarmente delicata della lotta partigiana esortava ad agire con prudenza, a
evitare azioni avventate, ammonendo di non uccidere. «Ogni volta che uscivo di casa pregavo il
cielo di non dover sparare… La nostra parola d’ordine era, quindi, limitare i combattimenti, evitare
le rappresaglie e le morti, e nello stesso tempo prepararci all’insurrezione strappando al nemico
quanti più paesi possibile». 1 In queste parole c’è la peculiare esperienza di Tina, che nella lotta
armata ha praticato i valori del cattolicesimo popolare in cui credeva: pace, giustizia e solidarietà.
Partigiana della democrazia partecipata e pluralista
Oggi si discute molto di partiti personali, leaderismo, populismo, sovranismo, dimenticando che la
Costituzione delinea una Repubblica nella quale l’equilibrio dei poteri incontra il pluralismo delle
formazioni sociali, chiamate a partecipare a scelte condivise e alla costruzione del bene comune.
Tina non ha combattuto per una democrazia qualunque. Al contrario è stata, da sindacalista della
CISL e da dirigente della Democrazia cristiana (DC), partigiana di una democrazia partecipata e
pluralista. Sindacato e partito erano per lei strumenti d’azione collettiva, di raccordo tra territori,
società e istituzioni, con funzioni distinte ma essenziali allo sviluppo della vita democratica.
La vocazione alla politica matura nella Gioventù femminile dell’Azione cattolica di Bassano, grazie
all’antifascismo e all’attenzione, nel solco della dottrina sociale della Chiesa, alla condizione
durissima delle operaie delle filande della «marca trevigiana». Nel 1944 s’iscrive alla DC, ma già nel
giugno del 1945 è una giovanissima dirigente provinciale della FIOT, il sindacato tessile, nella
corrente cristiana della CGIL. Resterà nel sindacato per 10 anni, passando dai tessili della CISL agli
insegnanti elementari quando, dopo la laurea, comincerà a lavorare come maestra. 2
Un decennio cruciale d’apprendistato alla politica, segnato da un duro conflitto sociale, dalla fine
dell’unità sindacale e dalla competizione tra componente cattolica e socialcomunista.
È una sindacalista determinata, combattiva, credibile: tratta con gli industriali tessili, parla alle
operaie dei loro diritti, le convince a entrare nel sindacato, a difendere unite le prime conquiste
contrattuali. 3 Anche nel partito la sua attenzione va alle donne e ai giovani: diventerà delegata
nazionale dei giovani e nel 1959 entra nel Consiglio nazionale della DC e si occupa di lavoro e
formazione, organizza corsi di storia politica. Preparazione, studio, partecipazione sono i capisaldi
di una militanza vissuta a testa alta e guidata da una concezione della politica come arte capace
d’influire e modificare la vita degli altri.
«In certi momenti di grazia – ricorderà – si ha veramente la sensazione d’essere stati utili, d’aver
costruito qualcosa che potrà durare nel tempo. Per questo “maltrattare” la politica, ridurla a mero
esercizio di potere, o peggio ancora a puro interesse personale, è un atto gravissimo, che uccide la
speranza, oltre che un atto stolto, perché, così facendo, si perde il bello della politica, e si vive solo
dei suoi cascami. Che quelli sì, la rendono noiosa, ripetitiva, una nociva perdita di tempo, e le
tolgono l’anima». 4
Nel partito si riconosceva nella componente culturalmente più avvertita e feconda del
cattolicesimo democratico, lungo la linea De Gasperi-Dossetti-Moro-Zaccagnini. Ha vissuto il suo
essere democristiana con grande autonomia e lealtà. Leale e coerente fino allo scioglimento della
DC e alla nascita del PPI e poi del Partito democratico (PD). Donna di corrente, aveva una grande
tensione all’unità. Mai subalterna ai leader del momento e, anzi, capace d’individuare le derive
interne che denunciò più volte in modo aperto di fronte agli organi del partito, forte del consenso
popolare rinnovato a ogni competizione elettorale soprattutto dalle donne, dai giovani e dal
movimento cattolico.
Partigiana della democrazia paritaria
Come altre protagoniste della Resistenza, anche Anselmi rivendicava la presenza delle donne nella
vita politica della nuova Italia. Nel 1946 non era ancora maggiorenne ma si era spesa con grande
energia e passione nelle fabbriche e nelle campagne della sua provincia, in vista delle elezioni del 2
giugno per promuovere la partecipazione femminile al voto in favore della Repubblica e nelle
elezioni per l’Assemblea costituente. «C’era una grande attesa da parte delle donne che venivano
per la prima volta chiamate a decidere sulle sorti del proprio paese». 5 La condizione delle donne è
stata il filo che ha unito l’attività sindacale alla militanza nel partito e all’impegno parlamentare e
di governo.
Il suo approccio alla questione femminile era tutt’altro che settoriale, ripiegato esclusivamente
sulla difesa dei diritti delle donne. Per lei divenne subito chiaro che promuovere l’autonomia delle
donne, tutelare la loro dignità, i loro diritti sul lavoro e in famiglia costituivano un percorso
necessario nella costruzione di una democrazia più forte e più giusta per tutti.
Partigiana della democrazia sostanziale
Nella Costituzione le libertà s’incontrano con i diritti e con i doveri. I principi di uguaglianza e di
giustizia non sono formali ma sostanziali, vanno cioè tradotti in diritti esigibili. Detto con le parole
di Tina, «la democrazia comporta non solo adesione ai valori ma esercizio. Significa individuare
iniziative concrete». 6 Ricordare che è stata la prima donna ministro della Repubblica non basta se,
al tempo stesso, non si precisa che in quella responsabilità seppe realizzare alcune riforme
fondamentali.
Non è diventata ministro perché donna, all’epoca non si parlava di quote rosa, ma perché era
competente e, a differenza di tanti uomini ministri, ha lasciato un segno profondo, non solamente
per migliorare la condizione delle donne italiane ma per la crescita di tutto il paese.
La Legge 903 del 1977 sulla parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro è stata
una tappa storica della nostra democrazia. E in quella fatica Anselmi riannoda tutte le sue
esperienze: la Resistenza, con l’abrogazione delle norme fasciste del 1934; il sindacato, con la
parità salariale e l’uguaglianza delle lavoratrici; la politica e il Parlamento, con la conciliazione tra
lavoro e famiglia e i congedi parentali e il divieto d’ogni discriminazione di genere. Quella legge si
approva grazie alla sua capacità di dialogo e confronto con tutti, alla paziente ricerca di mediazioni
alte che consentano l’intesa non solo fra le forze politiche ma anche tra le organizzazioni sindacali
e imprenditoriali, per portare a casa non un risultato qualunque ma il migliore possibile, in grado
di reggere nel tempo.
Diventa ministro della Sanità nelle tragiche settimane del sequestro e dell’assassinio di Aldo Moro,
con il mandato di superare lo stallo parlamentare sulla riforma sanitaria. La Legge 833 che
istituisce il Servizio sanitario nazionale è frutto di una precisa stagione storica e politica, quella
della solidarietà nazionale, ma è soprattutto grazie all’autorevolezza e alla determinazione di
Anselmi se la riforma viene approvata, il 23 dicembre del 1978. «Lo scopo era costruire un sistema
che assumesse come suo valore fondante la tutela della persona». 7 Pochi mesi prima era stata
varata la legge sulla chiusura dei manicomi, che riconosce anche ai malati di mente diritti di
cittadinanza e piena dignità. Sono tutte prove di quella coerenza politica e di quel coraggio
riformatore che fanno di Tina una partigiana di una democrazia sostanziale.
Partigiana della democrazia laica
Tina Anselmi è anche la donna che insieme a Rosa Russo Iervolino e a Maria Eletta Martini (cf.
Regno-att. 2,2022,33s), partecipa a quelle riforme civili – divorzio, diritto di famiglia, interruzione
volontaria della gravidanza – che in Parlamento dividono aspramente laici e cattolici. Sfide che
mettono alla prova il rapporto tra fede e politica, e che Anselmi affronta con la coerenza e la
prudenza di chi ha trovato nel concilio Vaticano II nuova linfa alla cultura del cattolicesimo
democratico.
Nella discussione sulla legge sul divorzio Tina traccia con grande efficacia il profilo di una
democrazia laica e pluralista, e rivendica il dovere dei cattolici di dare un contributo di merito e
non confessionale.
Il tema della famiglia, sottolinea, è un tema «di grande rilevanza, non solo morale, ma anche civile
e politica» che la DC vuole affrontare «senza alcuna pregiudiziale di ordine religioso», senza
integralismi e senza imporre con le leggi dello stato la concezione cristiana del matrimonio. «Noi
crediamo nel valore del pluralismo culturale, e concepiamo il momento di crescita della società
come momento di libertà». E traccia la sostanza della laicità della politica: «Il cattolico
democratico, sia come singolo sia nelle forme organizzate della vita politica, si pone invece di
fronte i problemi legislativi come cittadino dello stato al pari di ogni altro per ricercare il bene della
comunità civile di cui è membro, offrendole il contributo delle sue idee, del suo lavoro, della sua
attiva e responsabile partecipazione». 8
Qualche anno dopo, con la lealtà istituzionale di un ministro che ha giurato sulla Costituzione e
non può non rispettare la volontà del Parlamento, firmerà la legge sull’interruzione volontaria
della gravidanza che pure non aveva votato. Se la 194 è una legge che non liberalizza l’aborto, se
prevede la creazione di una rete di servizi a sostegno della maternità responsabile, se non lascia
sola la donna nel processo decisionale pur riconoscendole l’ultima parola, lo si deve a chi, come
Tina Anselmi e le parlamentari democristiane, si prese la responsabilità di dare il proprio
contributo anche se non la condivideva.
Partigiana della democrazia trasparente
L’ultima stagione del suo impegno parlamentare si ricongiunge al suo inizio. Tina Anselmi torna a
essere partigiana della democrazia, contro i poteri occulti che attentano alla Costituzione. Aveva
già combattuto il terrorismo, vivendo la tragedia del sequestro e dell’assassinio di Aldo Moro, con
il compito di tenere i rapporti tra la famiglia del prigioniero delle Brigate rosse e il partito. Avrebbe
voluto trovare una strada per salvare la vita di Moro senza trattare, ma abbiamo capito molto
dopo quale poteva essere quella via, suggerita da Moro nelle sue lettere. Con la Presidenza della
Commissione parlamentare sulla Loggia P2 si scontra con un nuovo potere che corrode la
democrazia in nome della segretezza. In quegli anni d’intensissimo lavoro conquista grande
popolarità in tutto il paese e grandi nemici dentro il palazzo.
È stata, confesserà, l’esperienza «più sconvolgente» della sua vita. «Ho fatto il ministro due volte,
mi sono trovata dentro quella che chiamano la stanza dei bottoni. Ma solo frugando nei segreti
della P2 ho scoperto come il potere, quello che ci viene delegato dal popolo, possa essere ridotto a
un’apparenza. La P2 si è impadronita delle istituzioni (…) ha fatto un colpo di stato strisciante. (…)
Per più di 10 anni i servizi segreti sono stati gestiti da un potere occulto». 9
In più occasioni i «piduisti» tentarono di ostacolarla, arrivando persino a denunciarla per tre volte
alla magistratura, per il modo in cui conduceva le indagini.
Illustrando in aula a Montecitorio le conclusioni della Commissione, denunciò con grande coraggio
le finalità politiche della loggia creata da Licio Gelli: «Un tentativo sofisticato e occulto di
manipolazione della democrazia». La segretezza appare l’aspetto chiave della P2, che ne rivela la
pericolosità e la natura eversiva: «Se la loggia P2 è stata, com’è stata, politica sommersa, essa
allora è in realtà contro tutti noi! Noi tutti che sediamo in questo emiciclo poniamo, a premessa
indeclinabile del nostro impegno, la pubblica dichiarazione del nostro credo politico sulla base del
quale cerchiamo il consenso e il voto degli elettori. Questo è il sistema democratico: in questo
sistema non vi è e non può esservi posto per nicchie nascoste o burattinai di sorta». 10
Pagherà con la mancata candidatura nel suo storico collegio elettorale la denuncia, documentata,
di un potere che in modo occulto, parallelo e segreto si era organizzato con i suoi uomini nelle
istituzioni per sviarne gli obiettivi verso altri fini e altri poteri. Pagherà la trasparenza con la quale
aveva chiamato per nome tutti i responsabili. «Lo stato invisibile – ricordava citando Norberto
Bobbio – è l’antitesi della democrazia». 11 La democrazia, sosteneva il filosofo torinese, si basa su
tre principi fondamentali: persegue il bene comune, non il bene di una parte; lo fa in modo
trasparente e verificabile; con metodi pacifici e non violenti. Al contrario, chi si associa
segretamente tradisce questi principi: copre con il segreto metodi non trasparenti, persegue
l’interesse di una parte ed è disposto a farlo con qualunque mezzo, compresa la violenza.
Rivolgendosi ai giovani, in uno degli ultimi interventi pubblici all’Università di Trento, Anselmi
torna sul valore della democrazia: «Nessuna persona è inutile, c’è bisogno di ciascuno di voi.
Questo è il messaggio della democrazia. Raccogliamolo se vogliamo essere noi a costruire il nostro
futuro. Abbiate fiducia, coltivate la speranza e ribadite l’impegno nel servizio reso verso gli altri». 12
Parole che sono riecheggiate nel discorso sulla dignità pronunciato dal presidente Mattarella in
occasione del giuramento alla Camera dei deputati per il suo secondo settennato.
Rosy Bindi