Per chi ha letto attentamente la “Laudato sii” e sta seguendo la conversione ecologica della Chiesa, questo versetto dovrebbe essere abbastanza noto, per la sua interpretazione controversa. In realtà non intendo affrontare quella problematica.
Invece l’ho messo come titolo di questa riflessione, perché qui si sintetizza la visione biblica del lavoro. Da qui vorrei partire per proporre qualche spunto in vista del Primo Maggio e della Festa di San Giuseppe operaio: la Festa di tutti i lavoratori e di tutte le lavoratrici.
Tornando al nostro versetto biblico, ci troviamo di fronte ad un tipico esempio di comandamento divino, che non è semplicemente un atto normativo, come siamo soliti intendere.
Il Comandamento biblico è una determinazione divina, con la quale la Parola di Elohim trasforma la realtà. Con il Comandamento la Parola di Dio esprime al massimo la sua forza performativa, ovvero la sua capacità di trasformare la realtà.
Nel nostro caso questa Parola, con queste determinazioni, abilita Adamo ed Eva a trasformare la Terra; ovvero l’essere umano, unico essere nella Creazione, viene abilitato a continuare l’opera creatrice di Elohim, trasformando con il lavoro la realtà da Lui stesso creata dal nulla.
In altre parole con questo Comandamento Elohim imprime nell’essere umano la sua vocazione specifica. Ebbene, questo è il senso profondo e radicale del lavoro umano; ben più antico di qualsivoglia rivoluzione industriale, o tecnologica che sia! Per questo motivo il lavoro, lungi dall’essere quella realtà profondamente alienante che conosciamo, in realtà è una delle dimensioni costitutive dell’umanità; così come lo è l’identità sessuale.
E’ per questo motivo che la Chiesa sbaglia enormemente nel riservagli le briciole delle sue attenzioni pastorali. Solo per farvi un esempio tra i tanti, nella Zona pastorale III la nostra Diocesi affida la cura per il mondo del lavoro ad un sacerdote di 87 anni, da solo. Il dato è inequivocabilmente emblematico di quanto la Parola di Dio non sia l’ispiratrice dell’azione pastorale! E poi si occupano decine di preti per presiedere alle più svariate, quanto inutili devozioni. Da quanto detto fin qui, risulta allora chiaro che l’essere umano lavora non solo per sopravvivere. Molto più radicalmente noi ci realizziamo, portiamo a compimento la nostra natura, attraverso l’attività lavoratrice; qualunque essa sia, purché sia l’occasione di mettere a frutto i talenti, che il Signore ci ha dato. Da qui l’importanza di creare una sinergia virtuosa tra le esigenze della società e i talenti di ogni essere umano che la abita. Capite bene che, a questo livello, la questione del guadagno non può essere l’elemento principale nel valutare un’attività economica. Certamente ogni attività economica deve produrre dei frutti, per poterne valutare la validità e la sostenibilità. Ma questi frutti non possono essere ridotti al mero lucro finanziario. Una società, ispirata da questa visione biblica del lavoro, riuscirebbe a far fronte alle varie esigenze della vita, assegnando a ciascuno un compito da svolgere, compatibilmente con le sue capacità, fisiche e mentali. Un po’ sul modello delle cooperative sociali. Invece la nostra realtà economica, sempre più governata dalla logica del massimo profitto a qualsiasi costo, tende a privilegiare modelli produttivi sempre più specialistici e selettivi. Ciò porta ad una selezione impietosa, dove è sempre più difficile essere all’altezza di questo sistema, sia per l’intensità dei ritmi produttivi, sia per la complessità dei processi lavorativi.
Il che comporta l’espulsione dal mondo del lavoro di migliaia di persone, che, per un motivo o per l’altro, non ne sopportano più il carattere altamente selettivo. Proprio questa mattina, durante una riunione con l’Assistente sociale di Dervio, ci è stato presentato il caso di un uomo di mezza età, con qualche deficit cognitivo, che dopo aver svolto per anni un lavoro tanto banale, quanto ripetitivo, improvvisamente ha cominciato ad eseguirlo male, fino al punto di farsi licenziare. Così ora, mantenuto da una pensione sociale, passa le giornate a letto nell’inedia più totale.
E non è l’unico caso! In realtà sto rendendomi conto che gli italiani, che fanno riferimento ai Servizi Sociali ed alla Caritas, o sono anziani ammalati di solitudine, oppure sono casi sbrigativamente catalogati come “malattia psichica”. Questi ultimi, anziché trovare uno spazio sociale ed economico, dove essere inseriti fruttuosamente, vengono sedati dalle loro frustrazioni esistenziali e mantenuti con sussidi pubblici gratuiti per loro, ma sempre più cari per la collettività. Il tutto ha a che vedere con una visione del sistema produttivo sempre più visto e pensato come fonte inesauribile di ricchezza; pertanto soggetto ad una specializzazione e ad una competitività sempre più disumana. Salvo poi dover spendere una buona parte di questi inutili profitti per mantenere in uno stato poco più che vegetativo milioni di essere umani, che diversamente potrebbero essere occupati in piccoli servizi, adeguati alle loro capacità.
Che questo Primo Maggio ci aiuti a riscoprire la dimensione veramente umana del lavoro…
Pe. Marco