“Avendo privato della loro forza i Principati e le Potenze, ne ha fatto pubblico spettacolo, trionfando su di loro in Cristo” Col 2,15. Questo versetto, che sentiremo proclamare nella seconda lettura di domenica prossima, mi ha richiamato l’attenzione, perché S. Paolo di solito non lo ricordiamo per questa dimensione di lotta e di conflitto. O meglio, sicuramente ne ricordiamo i tratti fortemente polemici e dialettici nei riguardi del fariseismo e del legalismo giudaico; però il tutto siamo soliti ricondurlo alla sfera cosiddetta spirituale,che meglio sarebbe dire spiritualistica;
ovvero una sfera non ben definita al di fuori della vita reale e relegata nei templi e nelle facoltà teologiche.
In realtà questi Principati e queste Potenze, di cui parla Paolo, sono certamente delle entità, degli esseri, che vivono nel mondo immateriale,fuori dalla nostra esperienza sensibile.
Fondamentalmente appartengono alla realtà degli spiriti decaduti, i demoni. Ovviamente io non intendo discutere sulla loro esistenza e sulla loro natura, perché tutto ciò corrisponde alla concezione del mondo, alla cosmovisione, della cultura in cui lui era cresciuto.
Ciò che invece non viene normalmente sottolineato ed è invece molto chiaro nei suoi scritti, è il legame tra quelle Potenze spirituali e le Potenze ed i Principati di questa Terra, del Mondo in cui viviamo.
Infatti, per quella cultura la vita terrena non è altro, che il riflesso della lotta e del confronto tra il Signore con i suoi angeli e queste potenze maligne. Tra i due mondi esiste una correlazione continua.
Ciò significa che il Verbo di Dio, incarnandosi, ha riportato sulla Terra questa lotta.
Il Vangelo, che Gesù ha annunciato in opere ed in parole, è “fuoco e spada” per smascherare e abbattere tutte le forme di potere e sopraffazione, che generano le famose strutture di peccato, che opprimono i figli di Dio.
Forse qualcuno resterà un po’ disorientato da questa lettura del pensiero paolino. Di solito, su questi argomenti si è soliti ricordare ben altro testo, il famoso brano di Rom 13,1ss: “Ciascuno stia sottomesso alle autorità costituite; poiché non c’è autorità se non da Dio e quelle che esistono sono stabilite da Dio”.
In effetti, questo versetto e quelli che lo seguono nascono da un’esigenza diversa, che è quella di non ridurre il cristianesimo ad una qualche ideologia politica antimperiale.
Da qui l’esigenza, da parte di Paolo, di richiamare i cristiani al rispetto dell’autorità. Anche perché in Roma, nel cuore dell’Impero, un qualsiasi scivolone su queste delicate questioni avrebbe avuto come conseguenza l’annientamento dei cristiani.
Detto ciò, acquista ancor più valore quanto detto sopra, perché l’insieme di questi elementi ci mostra come le comunità paoline non intendessero la loro fede come una fuga dalla realtà, per attendere passivamente l’avvento della fine dei tempi. Invece, guidate da Paolo, sono pienamente inserite nella società in cui vivono, preoccupate di capire e giudicare la realtà, per accoglierne il buono e rifiutarne la strutture di morte e di oppressione.
In altre parole, far crescere il Regno di Dio significa trasformare il nostro cuore, per acquisire uno sguardo diverso sul mondo;
ma questo sguardo diverso non può fermarsi alla dimensione contemplativa: vedo le ingiustizie e le strutture del peccato e tutt’al più prego Dio perché le cambi.
Il cuore nuovo e lo sguardo nuovo del cristiano, frutto dell’incontro con Gesù, deve portare necessariamente ad agire come Gesù di Nazareth, per trasformare le strutture di peccato, generate “dai Principati e dalle Potenze”.
Per non rimanere troppo nel vago, quanto sta avvenendo coi vaccini, a causa della speculazione delle multinazionali e dei governi occidentali, è una delle forme moderne, nelle quali possiamo vedere l’operato delle “Potenze di questo mondo” citate da S. Paolo.
Detto ciò, però, dobbiamo chiederci: quanto si discutono e si mettono a tema questioni del genere dentro la Comunità cristiana? Quanto cerchiamo di riconoscere e combattere comunitariamente, come Chiesa, contro “i Principati e le Potenze di questo mondo”?
Se invece vogliamo stare più sul locale,mi ha letteralmente scioccato un fatterello accadutomi qualche giorno fa.
Nel redigere il testo di un volantino, accennavo al fatto che i nostri poveri, a volte, non riescono a far fronte alle loro necessità, perché sopravvivono “con lavori malpagati”.
Una persona impegnata nel volontariato, ampiamente sfruttata a suo tempo, mi ha contestato la terminologia, perché era offensiva degli imprenditori del nostro territorio (sic!).
Dopo il primo impatto traumatico, mi sono chiesto:“Questa persona avrà mai trovato un appoggio nella sua Comunità cristiana, che l’aiutasse a capire e ad affrontare l’oppressione in cui viveva?”.
Esattamente qui sta il punto dolens e la fragilità, che rendono le nostre Comunità insignificanti nel mondo in cui viviamo.
I pronunciamenti profetici del Papa e di qualche buon Vescovo non sono sufficienti, per scuotere la situazione, perché loro, da soli, non sono la Chiesa e come tali vengono percepiti dai potenti di questo mondo.
Forse è su queste coordinate, che andrebbe pensata la rievangelizzazione dell’Italia, più che nel cambiamento di qualche sinonimo del Messale…
Pe. Marco