Per questa riflessione pasquale, nell’Anno del Signore 2021, vorrei partire dai tradizionali auguri, che ci facciamo in occasione di queste festività.
Non che questa fosse la mia intenzione di partenza, ma, meditando su tutt’altro all’inizio della Settimana Santa, ad un certo punto mi sono imbattuto esattamente in questo messaggio augurale ed ho dovuto chiedermi: “Ma che senso ha questo augurio? O meglio, ci rendiamo conto di cosa ci auguriamo con queste parole? E che parole!”.
Innanzitutto, a scanso d’equivoci, dobbiamo ricordarci l’origine di questa parola: Pasqua. E’ una sorta di traduzione /translitterazione della parola ebraica pesa?, che passando attraverso il greco ed il latino, ha dato vita a questo termine italiano. Ma, al di là di questi dettagli linguistici, ciò che a noi importa è il suo significato: Passaggio. Innanzitutto il passaggio fisico del Mar Rosso; ma più profondamente il passaggio dalla schiavitù alla Libertà.
Su questa radice fondamentale, segnata dal rapporto tra la schiavitù e la Liberazione, Gesù nell’Ultima Cena innesta la sua Liberazione, definitiva sì, ma non alternativa a quella. In altre parole, a differenza di quanto si predica erroneamente, Gesù non ha voluto sostituire il senso
profondo della Pasqua ebraica, bensì l’ha portato a compimento, l’ha fatta esplodere in tutte le sue potenzialità. Ed ecco, allora, che Gesù accoglie radicalmente il valore liberante, emancipatorio,
della Pasqua ebraica, ma lo libera dal suo contorno etnico-politico, per estenderlo a tutte le dimensioni della Vita. Detto diversamente, Gesù intende certamente la sua missione come un’azione liberatrice; però la Sua azione non è limitata alla liberazione politica d’Israele.
Prendendo a prestito la felice espressione di Paolo VI° in “Evangeli Nuntiandi”: “Il Vangelo di Gesù libera tutto l’uomo e gli uomini tutti”.
In altre parole nella Sua Pasqua Gesù segna la Liberazione integrale dell’umanità da tutte le forme di peccato e di oppressione, non solamente quelle sociali e politiche.
In particolare, e questo fu lo spunto originario dal quale nacque tutta la mia riflessione, dopo un anno segnato dalla pandemia, abbiamo il dovere morale di sottolineare che Gesù ci ha liberati dalla paura della morte biologica.
Come Lui stesso ha avuto modo di dirci, la Sua è una missione vitale, nel senso che è a servizio della Vita, della Vita piena ed abbondante per tutti indistintamente: “Io sono venuto perché abbiano la Vita e l’abbiano in abbondanza” Gv 10,10.
Ma, perché la Vita nella sua pienezza possa esplodere, è necessario assumere la morte biologica come parte di essa. La morte fisica è solo un momento, misterioso sì ma momentaneo, per poter esperimentare in pienezza la Vita Eterna, quella che il Vangelo già inaugura su questa Terra.
Ecco allora che il segreto di Gesù è quello di non lasciarsi impressionare dalla paura della morte fisica, per non sacrificare a lei qualche dimensione del Regno di Dio, della Vita Eterna. Questa Vita Eterna, caratterizzata dal Suo protendersi radicalmente verso gli altri, soprattutto se poveri ed oppressi, ebbene questo essere radicalmente “per gli altri” è il segreto che illumina e sostiene tutte le scelte di Gesù. In questa dedizione Gesù sa che può far trasparire la cura, che il Padre ha verso ciascuno di noi. Contemporaneamente Gesù tratta tutti da fratelli, con la stessa dignità di figli del Padre.
È questo “essere per gli altri”, che porta Gesù a lottare senza riserve, per denunciare e rimuovere tutto ciò che nega ed ostacola la nostra fraternità.
Gesù è l’incarnazione e la realizzazione piena del Regno di Dio, perché la sua Vita è obbedienza piena alla Volontà del Padre e niente antepone ad essa.
D’altro canto, questa obbedienza si è realizzata, perché neanche le minacce di morte hanno fatto desistere Gesù, o lo hanno fatto scendere a compromessi, pur di prolungare di qualche anno la sua vita su questa Terra.
Esattamente qui sta il Passaggio che noi celebriamo in questi giorni. Pur essendo l’unica certezza della vita terrena, la morte fisica ci spaventa e ci sconvolge.
Per questo motivo riesce trasformare la nostra percezione della realtà.
E così, come ha ben illustrato I. Bergman ne “Il settimo sigillo”, noi occupiamo l’esistenza soprattutto nel tentativo di dimenticare la morte e nell’illusione di prolungare all’infinito la nostra permanenza sulla Terra.
Benché a mente fredda sappiamo che questi percorsi sono semplicemente vani, di fatto nel nostro vivere quotidiano, travolti dall’emotività e dalla paura, finiamo per lasciarcene condizionare profondamente. La vicenda della pandemia è stata certamente emblematica in questo senso.
Di fatto ancora oggi, si oscilla continuamente tra qualche eccesso normativo, pensato come se non dovessimo morire mai, e inspiegabili concessioni al bisogno sfrenato di godimento dell’io, come se in ciò consistesse il senso della vita.
Purtroppo ciò che più manca, grazie anche a una certa mancanza di testimonianza cristiana, è la richiesta di poter vivere le dimensioni fondamentali dell’esistenza, pur tenendo conto dell’esistenza della malattia e delle ragionevoli attenzioni per difendersi da essa. A me pare che ci sia molta più preoccupazione nel non contrarre la malattia, per paura di morire, che non la preoccupazione di vivere la logica evangelica del prenderci cura gli uni degli altri, cominciando dai più poveri e dai più deboli, anche e soprattutto dentro la pandemia.
San Francesco che abbraccia il lebbroso, quando ancora non si sapeva niente della lebbra, dovrebbe essere il paradigma per ogni cristiano. È evidente che lui è andato al di là delle norme sanitarie del tempo, non per negazionismo, bensì perché aveva fatto radicalmente il passaggio con Cristo dalla paura della morte alla Vita Eterna, la vita che è dono di sé ai più poveri.
E allora non mi resta che augurare a me ed a voi di credere veramente nella Risurrezione di Gesù,
per fare anche noi questo Passaggio con Lui.
Pe. Marcos