Premetto che, pur prendendo spunto dalla recente visita di Papa Francesco in Iraq, non sarà questa l’oggetto della mia riflessione.
Di fatto, altri e meglio di me hanno già abbondantemente commentato quell’evento. Vorrei però partire da un dettaglio dello stesso, per sottolineare una tendenza culturale attuale.
Ed il dettaglio è la lucida determinazione, con la quale Francesco ha perseguito questo sogno: visitare i cristiani perseguitati nella terra di Abramo e realizzare un incontro ufficiale con i mussulmani sciiti nel segno del padre comune: Abramo.
Seppur sottovoce, per la grande stima di cui gode questo Papa, chi più chi meno ci siamo chiesti se fosse proprio il caso di affrontare un viaggio così rischioso, per sé e per coloro che dovevano organizzarlo e farlo andare a buon fine. C’erano i rischi legati al COVID e, soprattutto, quelli legati ai possibili attentati.
Come ha lasciato chiaramente trapelare, attraverso il suo portavoce, lui era pienamente cosciente di tutto ciò e non lo ha mai trascurato come irrilevante.
Eppure… eppure c’era in gioco qualcosa di più grande, che andava messo sul piatto delle ponderazioni. Troppe variabili e troppe incognite avrebbero potuto far slittare sin dall’inizio questo viaggio, già troppe volte rinviato. Esattamente qui sta il punto che vorrei mettere a fuoco.
In altre parole, la vita di ciascuno di noi è un agglomerato /sintesi di eventi e decisioni in gran parte indipendenti da noi.
Ciò nonostante gli eventi che ci vengono incontro, che troviamo sul nostro cammino, possiamo considerarli come frutto della casualità, oppure come una chiamata che
misteriosamente il Signore ci rivolge. Conseguentemente una chiamata ci obbliga, nostro malgrado, ad una risposta. Qui sta il carattere strutturalmente vocazionale dell’ esistenza. Ovvero, che ci piaccia o no, l’esistenza è un susseguirsi infinito di chiamate del Signore Gesù attraverso la Storia.
Non solo. In virtù di questo carattere vocazionale della Vita, noi siamo perennemente chiamati alla Responsabilità, che è ben più di un generico far bene le cose.
In realtà, la parola “responsabilità” indica l’arte, la capacità di “saper rispondere” a tutto ciò che ci circonda e ci interpella.
Tornando al viaggio di Papa Francesco, non v’è dubbio che lui, per quello che è e per ciò che rappresenta, ha avvertito in coscienza davanti al Padre questa chiamata e, in tutta libertà davanti al Padre, ha dato la sua risposta, assumendosi le sue responsabilità.
Ebbene, questo dinamismo e questo atteggiamento radicale è l’espressione più alta di cosa significhi essere uomini ed essere cristiani. Eppure è una virtù così rara! Come ho già avuto modo di ripetere diverse volte, io sono ogni giorno sempre più in sofferenza in questo mondo di ombre umane e di maschere, come direbbe Pirandello. Il problema non sta tanto nel fare, o meno, la scelta giusta. Prima ancora di fare la scelta giusta, si tratta di esercitare l’arte della Responsabilità, l’arte di saper dare una risposta personale, di fronte agli appelli della Vita.
Per farmi capire meglio, permettetemi di raccontarvi un fatterello, a mio avviso emblematico, pur nella sua banalità.
Per caso ho saputo di un mio collega sacerdote, che ha scoperto che una sua parrocchiana molto devota, oltre a realizzare uno degli inflazionati incontri di preghiera nella sua casa, in modo maldestro aggrega a tali momenti la celebrazione della Messa. Senza voler invocare la pur legittima teologia eucaristica, la pura e semplice legge ecclesiastica sancisce, che si possono realizzare queste “Messe private” solo ed esclusivamente in casi di comprovata necessità (casi di infermità croniche, o d’impossibilità a celebrare pubblicamente l’eucaristia).
Il sant’uomo del prete, pur essendo sinceramente e profondamente convinto che la cosa fosse errata, ciò nonostante, a fronte dell’insistenza della pia donna, ha finito per avvallarne le perversioni, con la motivazione che si sarebbe sollevata più polvere dicendole la Verità, piuttosto che avvallandone gli errori.
Ovviamente non ritengo che si dovesse fare una crociata, per impedire quelle celebrazioni illecite.
D’altro canto, alla luce di quanto detto sopra, il principio di
Responsabilità esigeva che le fosse detto inequivocabilmente che quelle celebrazioni non erano in
sintonia con l’insegnamento della Chiesa, al quale, tra l’altro, la nostra devota dice di obbedire senza riserve.
Di fatto, solo dicendole la semplice Verità si poteva dare a quella persona la possibilità di fare il Bene, di liberarsi, tanto per non citare il Vangelo di domenica scorsa…
Invece, qui come in una molteplicità di altre situazioni, si è preferito il quieto vivere personale, rivestito di un apparente pacifismo, pur di non prendere una posizione giusta, ma dolorosa.
Qualcuno potrà obbiettare che, in fondo, si tratta di cosa da poco. Certamente! Ma ciò che voglio sottolineare è l’atteggiamento perverso, segnato dall’incapacità di assumersi la propria responsabilità.
Il guaio è che, se non sappiamo assumercela per questioni così irrilevanti, non possiamo poi illuderci di essere uomini e donne capaci di assumersi responsabilità ben maggiori , magari pagando di persona, se necessario.
Parlando di ciò che conosco, ovvero del mio ambiente clericale, non vi è riunione, o situazione, nella quale non s’invochi “il passaggio di questa generazione”, per poter cambiare tutta una gamma di tradizioni e consuetudini, divenute ormai anacronistiche ed insignificanti.
Eppure, nonostante queste occupino ancora una buona parte della vita ecclesiale, la grande maggioranza dei miei confratelli si guarda bene dal dire chiaramente alla gente quali sarebbero le scelte migliori da fare. “Meglio lasciare che passi questa generazione e la Storia farà il suo corso” mi sento continuamente ripetere.
Indubbiamente, ma nel senso che continuando a lasciar morire, alla fine incontreremo solo la morte dell’intera Comunità cristiana, come del resto è ben visibile fin d’ora.
Ma anche a livello laicale la situazione non è da meglio. Il genitore moderno si guarda bene dall’assumersi la responsabilità di dare indicazioni precise ai figli; meglio essere loro amici! “E poi a che serve? Non vorrei che mio figlio crescesse come un pesce fuor d’acqua nella società in cui viviamo”.
Forse a scuola va’ meglio… Invece, “Con le famiglie che hanno dietro i nostri alunni, è inutile cacciarsela troppo per loro. È tempo perso! Meglio salvare almeno l’amicizia con loro. E poi ho già tanti problemi a casa mia!” pensa la brava maestra.
E la lista degli esempi potrebbe prolungarsi all’infinito. Una cosa però emerge con chiarezza: nessuno vuole assumersi la sua fetta di responsabilità, ovvero rispondere all’appello che gli viene rivolto dalla Vita.
Una massa così ir-responsabile può essere regimentata solo a suon di decreti e di restrizioni. Se poi dobbiamo essere controllati a vista, come nella famosa fattoria di orwelliana memoria, riusciamo anche ad essere felici, perché ci sentiamo più sicuri…
Pe. Marco