Come in molti stiamo ormai ripetendo da mesi, il nostro caro COVID19, oltre alle molte vite umane, sta facendo cadere, uno ad uno, tutti i principali miti della società occidentale. Quello che vorrei mettere a tema in questa riflessione apparirà secondario ai più, assillati dal virus che bussa alle nostre porte. Tant’è. Il mito, che vedremo cadere in queste settimane, è quello delle benedizioni natalizie; infatti a tutt’oggi sembrerebbe che non vi sarà la tradizionale peregrinazione, di casa in casa, con benedizione annessa. Certamente sarebbe interessante cercare negli annali, per vedere se già è avvenuto nel corso della storia qualcosa di simile; ma penso, senza tema di smentita, di poter dire che questo è uno dei pochi, se non l’unico anno, in cui si è verificato un fatto del genere.
Da subito vorrei precisare che, associando il termine mito a questa venerabile tradizione, non intendo sminuirne il valore; piuttosto è un modo per accennare al suo anacronismo. Infatti, come ben sappiamo, tutti i miti hanno un’origine storica; nascono da fenomeni, o avvenimenti significativi della Storia.
Anche le benedizioni natalizie sono frutto di una cultura: la cristianità, che ha marcato tutto il secondo millennio. In quella cultura la dimensione della Fede e della Spiritualità cristiane erano le componenti fondamentali della vita delle popolazioni europee. In questo quadro di fede creduta, ma soprattutto vissuta nella quotidianità, le Benedizioni segnavano l’attesa del grande giorno dell’Incarnazione del Figlio di Dio. Ancora ricordo gli anni della mia fanciullezza, quando l’arrivo del parroco per la Benedizione era segnato da un insieme di preparativi e di ansie, come se lo stesso Gesù stesse tornando a visitare la nostra propria casa. Addirittura chi poteva, o prendeva qualche ora di permesso, oppure tornava prima dal lavoro, per poter vivere questo momento di Fede.
Oggigiorno invece bisogna fare una serie di sondaggi incrociati, per individuare gli orari in cui trovare qualcuno in casa; per non citare altri esempi al limite della razionalità umana.
Senza molta soluzione di continuità, mi sono ritrovato a fare le mie prime Benedizioni da diacono nella vivace parrocchia dei Santi Nazaro e Celso a Bresso. Ricordo con rara lucidità la necessità di organizzare quelle visite tra le ore 18.00hs e le ore 20.00hs, per ottimizzare il rapporto investimento/tempo-resa/famiglie benedette. Inoltre il tutto era organizzato secondo uno schema degno della miglior efficienza capitalista: io ed il coadiutore prendevamo letteralmente d’assalto i condomini, uno partiva dall’alto, l’altro dal basso. Quando c’incontravamo, quello era il segno che anche per quella sera avevamo adempiuto al nostro sacro dovere. Spesse volte, nella sua grande bontà, il coadiutore non mi lasciava mancare qualche velata battuta, per farmi capire che ero stato troppo lento e lui aveva dovuto benedire più famiglie di me.
Non so se fu quell’impatto traumatico, ma sta di fatto che da quello shock non mi sono ancora ripreso e continuo a chiedermi: che senso ha ripetere questo rito annuale, che ben poco ha di religioso e molto del mito? Con ciò non voglio negare che vi siano ancora persone, che attendono questo momento con uno spirito di profonda Fede; ma per i più non si sa esattamente cosa sia questo gesto. La sensazione è che pensano di compiere un gesto educato, accogliendo il sacerdote nelle loro case.
Già ai tempi della mia esperienza milanese, in quel di Sant’Antonio Maria Zaccaria, avevamo cercato di adattare questa tradizione, trasformandola in un progetto di visita alle famiglie, che coinvolgeva gran parte dei laici impegnati della parrocchia. Infine, nella mia condizione straordinaria di “esiliato in semilibertà” ho potuto permettermi di “spendere” ben due inverni per visitare le poche decine di famiglie della Valvarrone.
Qui penso stia lo snodo fondamentale di tutta questa problematica. Infatti mi pare sia giunto il momento di dare un segnale molto chiaro, che aiuti un po’ tutti a prendere coscienza delle mutate condizioni socio-religiose e conseguentemente del modo di essere Chiesa. Probabilmente varrebbe la pena approfittare di questa tradizione di vistare le case della parrocchia, per dar vita ad un vero e proprio progetto di evangelizzazione. In altre parole, in questo nostro contesto, decisamente secolarizzato e indifferente, non ha più senso proporre ai più un gesto dalla chiara connotazione religiosa.
Ecco allora che questo tempo potrebbe divenire quel momento dell’Anno liturgico, in cui la Comunità cristiana in tutte le sue componenti visita le famiglie lontane, o per qualsiasi motivo estranee alla vita parrocchiale.
Purtroppo, confesso, tutte le volte che accenno a questo tipo d’iniziative, immediatamente mi trovo davanti all’obiezione classica: “Ma tu non vorrai mica trasformarci in tanti Testimoni di Geova?”. Fermo restando questo pericolo non da poco, non possiamo però dimenticare che la visita di casa in casa, per annunciare il Vangelo, non solo è raccomandato, ma è addirittura esigito dallo stesso Gesù. Pertanto, pur con tutte le attenzioni circa la qualità della visita, ciò nonostante non abbiamo sostanziali scusanti per non farlo.
In questo senso vorrei far notare che il mettersi in gioco in questa prospettiva, più che riempire le nostre chiese, avrà l’effetto di migliorare radicalmente la qualità evangelica della nostra Fede. Infatti, è nell’atto di condividere la nostra Fede con altri, che si vede la qualità della stessa. Qualsiasi convinzione, compresa la Fede, possiamo dire di averla assimilata solo quando siamo in grado di comunicarla ad altri. Viceversa continueremo ad avere solo l’illusione di qualche vago concetto, che osiamo chiamare fede cristiana.
Anche in questo caso, come per molti altri emersi durante questa pandemia, ciò che a prima vista potrebbe apparire una disgrazia, in realtà è l’ennesima grande occasione, per recuperare le radici evangeliche del nostro credere.
Pe. Marco