Forse qualcuno, leggendo questo titolo, avrà ricordato il famoso libro di ecclesiologia di Leonardo Boff, che gli costò l’allontanamento dalle facoltà cattoliche. Per queste mie riflessioni, decisamente molto più modeste, l’ho preso in prestito, per offrire qualche spunto sugli sviluppi della vicenda Bose.
E’ di questi giorni la notizia che, dei quattro sospesi dalla comunità, il fondatore non si sarebbe ancora allontanato dalla stessa, come prevedeva il decreto papale. O forse sarebbe meglio dire, come ha lasciato trapelare lo stesso Enzo, che lui in realtà ha tagliato ogni relazione con la comunità, ma l’ha fatto in questa forma simbolica di rimanere isolato in un eremo adiacente il monastero.
Il che, senza nulla sapere delle motivazioni e delle ragioni di tutta l’intera vicenda, ha fatto gridare allo scandalo ed ha fatto lanciare le prime pietre. “Ecco, si dice, anche lui ha predicato bene, ma nell’ora della prova razzola male”. Ed il razzolare male sarebbe questa presunta disobbedienza al decreto papale.
Eppure, se si osserva l’intera vicenda, pur con tutta l’oscurità che l’avvolge, ci si rende conto che questa scelta di Enzo di tutto può essere accusata, ma non certo di disobbedienza. Probabilmente noi, avvolti dal chiasso moderno, forse non riusciamo neanche ad immaginarci cosa significhi questa vita eremitica; oltretutto scelta da un uomo abituato ad una vita sociale intensissima. Inoltre questa scelta merita ancor più rispetto, se è vero quanto da lui stesso ha comunicato, ovvero il fatto di aver avuto un peggioramento delle sue condizioni fisiche.
Penso che a questo livello dobbiamo fare nostre le sagge parole di Ernesto Olivero: “Un uomo può vivere solo per ciò per cui è disposto a morire”. E forse anche questo ultimo gesto di Enzo non è altro che l’inveramento della relazione d’amore, che lo lega a questa sua creatura. Certamente a molti di noi, ormai assoggettati a questa società dello scarto, non riusciamo neanche a cogliere il senso di questi gesti e li rileghiamo nell’angolo della disobbedienza vendicativa. In fondo, pensiamo, la vita non offre molte altre possibilità? Via una donna/uomo, avanti un altro/a. Morto un Papa non se ne fa forse un altro? Chi pretende di essere costui, da ritenersi insostituibile per la sua Comunità?
Ma chi ha un minimo di conoscenza della realtà monastica, soprattutto quella più antica, sa che la relazione del monaco e dell’abate con la sua Comunità ha tutti i tratti dell’esclusività e dell’assolutezza di una relazione matrimoniale. Il monaco entrava nella Comunità per rimanerci fino alla morte; l’abate, una volta eletto, rimaneva tale fino alla morte. Figuriamoci l’abate fondatore!
Orbene, pur non essendo monaci, almeno noi credenti dovremmo fare lo sforzo di entrare in questo mondo di valori, a noi molto estraneo.
Detto tutto ciò, però, l’elemento per me decisivo, che dovrebbe metterci tutti piuttosto guardinghi con quanto sta avvenendo, sono le parole pronunciate dallo stesso Bianchi, quando è stato reso noto il decreto pontificio: “In questa situazione, per me come per tutti, molto dolorosa, chiedo che la Santa Sede ci aiuti e, se abbiamo fatto qualcosa che contrasta la comunione, ci venga detto. Da parte nostra, nel pentimento siamo disposti a chiedere e a dare misericordia. Nella sofferenza e nella prova abbiamo altresì chiesto e chiediamo che la comunità sia aiutata in un cammino di riconciliazione”.
Confesso che, soprattutto la parte che ho evidenziato in neretto, ha fatto riaffiorare in me molti passaggi della mia attuale vicenda. E così mi son chiesto e chiedo a ciascuno di voi: ammesso e non concesso che il colpevole sia lo stesso Enzo e lui stesso chiede la massima pubblicità e la massima trasparenza sull’accaduto e sulle sue conseguenze, come mai non viene atteso in questa sua richiesta? In fondo non vedo chi altri, al di fuori del colpevole, dovrebbe nascondere il suo errore! Se invece non è lui il colpevole, perché questa decisione clamorosa e questa totale oscurità, che finisce per additarlo come il principale responsabile dell’accaduto? Dentro tutte queste dinamiche, estremamente complesse ed aggrovigliate, mi pare pertanto che la posizione da lui assunta abbia più i tratti di un amore folle, che non quelli della vendetta nei riguardi di una decisione ritenuta ingiusta. Infatti, se avesse voluto seguire la seconda strada, vista la notorietà di cui gode, andandosene geograficamente lontano, avrebbe però potuto divulgare ai quattro venti la sua versione dei fatti.
In realtà, pur con le pochissime informazioni in nostro possesso, mi sembra che questa vicenda stia riportando in superficie la tensione, che attraversa tutta la storia della Chiesa e non solo: quella del rapporto tra l’istituzione e le manifestazioni dello Spirito, tra il potere ed i carismi. A parte la breve parentesi conciliare ed il ventennio immediatamente successivo, da secoli ormai nella Chiesa Cattolica si è avuto il netto sopravvento della dimensione istituzionale e gerarchica, culminata nella proclamazione del dogma dell’infallibilità papale.
Se così fosse, in prima battuta ciò non è un male, anzi è segno che lo Spirito sta incontrando fessure dalle quali soffiare sulla Chiesa! Però, per il momento, questo primo momento dell’attrito sembra essersi risolto, ancora una volta, in favore dell’istituzione. Provo a spiegarmi meglio, per non apparire troppo enigmatico.
Fermo restando che carisma ed istituzione, libertà spirituale e gerarchia sono entrambi elementi costitutivi della Chiesa e avendo presente che lo Spirito soffia anche sulla gerarchia, detto ciò il nodo problematico sta nell’interazione tra i due poli. L’autorità, o gerarchia, o istituzione non è depositaria dello Spirito Santo, ovvero lo Spirito non soffia solo su di lei. In altre parole non è valido solo ciò che viene detto, o intuito, o proposto dalla gerarchia, anzi! Lo Spirito va ben oltre le intuizioni del Papa e dei Vescovi.
D’altro canto il suo carisma, il carisma della gerarchia, consiste esattamente nell’aiutare il Popolo di Dio a riconoscere le autentiche manifestazioni dello Spirito nella Storia, interpretarle e correggerle dagli eventuali errori. In altre parole l’istituzione deve aiutare l’intero Popolo di Dio a riconoscere e valorizzare le forme autentiche d’incarnazione del Vangelo, di traduzione del Vangelo nelle sempre nuove vicende della Storia. E questo lavoro/processo, quando è autenticamente evangelico, non è né semplice, né lineare. Anzi può passare per tensioni e conflitti, come sempre succede quando la Libertà umana deve fare i conti con la Verità.
Allo stato attuale delle cose, nella vicenda di Bose, sembrerebbe aver prevalso l’aspetto istituzionale, affidando all’attuale priore la responsabilità di indicare per quali cammini dovrà andare la comunità. In questo modo viene azzerato il conflitto, ma anche le possibilità connesse al discernimento in atto.
La scelta appare piuttosto oscura se si tiene conto dell’amicizia che lega Enzo a Papa Francesco, che non è certo uno che ha paura delle “tempeste spirituali”. Ma come ha fatto notare ultimamente qualche acuto commentatore, forse anche per lui comincia a farsi sentire il peso degli anni e seguire lo Spirito nella sua imprevedibilità sta diventando sempre più difficile.
Speriamo ci riservi qualche colpo di coda al quale non sarebbe nuovo…
Pe. Marco