Questo titolo, intenzionalmente posto per richiamare l’attenzione, non è propriamente una mia invenzione, bensì la fusione di una delle domande tipiche nell’ambito ecclesiale e la citazione di questo bell’articolo di uno degli espulsi da Bose, fr. Goffredo Boselli:
https://alzogliocchiversoilcielo.blogspot.com/2017/12/goffredo-boselli-la-fede-celebrata.html
Ovviamente la mia pretesa non è quella di dialogare con tanto maestro, bensì più modestamente lasciarmi provocare dai temi qui toccati, per contribuire nella loro divulgazione. Non penso sia il caso, di far mistero del fatto che la tematica liturgica in generale è ritornata prepotentemente sulla scena, grazie al solito COVID19, che ha messo a nudo probabilmente tutte le nostre contraddizioni liturgiche. In questo senso spero, con queste mie semplicissime considerazioni, evidenziare quanto sia improrogabile una reale riforma liturgica.
Ritornando al titolo di questa riflessione, se chiedessimo liberamente “chi celebra oggi”, in un modo o nell’altro, i nostri interlocutori si preoccuperebbero di dirci chi è il prete, o il vescovo di una determinata celebrazione, fino all’esempio emblematico del lockdown, della “Messa del Papa”. Senza voler fare il professore di letteratura, che disquisisce sui dettagli sintattici, questa espressione nella sua semplicità esprime emblematicamente il senso comune generale. Infatti, la Messa è del ministro consacrato, che la presiede.
Già percepiamo come questa visione abbia prodotto un’infinità di conseguenze su questo evento fondamentale della fede cristiana. In questo semplicissimo contributo è materialmente impossibile, risalire a quali siano state le cause e quali le conseguenze di questa perversione. Sta di fatto che, per la stragrande maggioranza del popolo, non solo cattolico, la Messa la celebri il prete. Conseguentemente, anche nei frequentatori più assidui ed attenti, la preoccupazione principale è nei riguardi della qualità della predica, giustamente perché è lì che il sacerdote manifesta il suo talento, reale o presunto.
Certamente questa deriva è stata alimentata anche dalle dispute teologiche medievali sulla natura e sugli elementi costitutivi dei Sacramenti. Ancora una volta, emblematica è l’origine della Solennità del “Corpus Domini”, che celebriamo in questi giorni. Il tutto ebbe origine nel Medioevo dai dubbi di qualche teologo e qualche sacerdote, che non credevano adeguatamente nella presenza di Gesù nell’Eucaristia. Purtroppo, l’arrogante chiusura nei riguardi delle originarie istanze luterane, ha portato ad un’ossessiva insistenza sui resti della Celebrazione Eucaristica, conservati nel tabernacolo, per affermare in modo polemico ed apologetico che Gesù continua a rimanere presente in essi.
Eppure, per i primi otto-nove secoli della storia della Chiesa questa preoccupazione è praticamente assente, o del tutto marginale. Certamente è estranea alla testimonianza biblica, che è poi quella che ci interessa, perché solo lei potrà ispirare qualsiasi riforma liturgica.
Ed ecco che, se Gesù si consegna a noi nell’Eucaristia, San Paolo è colui che più di ogni altro ha messo a fuoco il rapporto esistente tra il comandamento di Gesù, “Fate questo in memoria di me”, e la Chiesa chiamata a realizzare questa memoria. Certamente i due versetti della seconda lettura della Messa del “Corpus Domini” (1Cor 10,16-17) ci fanno capire il senso profondo dell’Eucaristia. Tenendo conto di altri importantissimi testi paolini, risulta chiaro che l’Eucaristia non ci è stata donata da Gesù per essere adorata, ovvero per alimentare atteggiamenti estatici nei suoi confronti. Peggio ancora se tali atteggiamenti sono essenzialmente individualistici.
Gesù alimenta il suo Corpo, la Chiesa, ogni volta che questa lo cerca nella Celebrazione eucaristica. L’Ekklesia, ovvero i convocati da Lui, convengono dalla loro dispersione, dalle loro solitudini esistenziali e, durante il memoriale della Sua vita, morte e risurrezione si nutrono dell’unico Pane e dell’unico Sangue, ovvero di nutrono di Lui. Questo gesto sacramentale genera il Corpo del Cristo risorto, la Chiesa. La Chiesa/Ekklesia è dunque questo popolo di convocati, che alimentandosi di Lui divengono il suo Corpo, la sua Presenza nella storia di oggi. Ovviamente, perché ciò avvenga, è necessario che questo alimentarsi non si limiti al gesto materiale di mettere l’Ostia in bocca. Anzi, questo gesto meramente materiale, se non è sostenuto da una passione radicale nel vivere il suo Vangelo, può trasformarsi nella nostra autocondanna, come ben attesta S. Paolo in 1 Cor 11.
Finalmente, per poter vagamente rispondere alla domanda originaria, se è vero quanto fin qui detto, chi celebra la Liturgia Eucaristica è l’intero Corpo di Cristo, l’Assemblea celebrante. Ovviamente, perché ciò avvenga non basta un’affermazione liturgica e dogmatica; da questa si deve passare a tutta una seria di cambiamenti rituali e celebrativi, tali per cui l’Assemblea non debba rimanere prevalentemente inerte e passiva, assistendo quanto fanno il sacerdote e pochi altri funzionari con lui. Questo modo di celebrare, che è il nostro, nel quale il 90% dei partecipanti ha un ruolo poco più che passivo e di mera assistenza, non può che generare una Chiesa passiva ed incapace di assumere il protagonismo dell’evangelizzazione.
La Chiesa che siamo è frutto soprattutto di come celebriamo. Ancora una volta è confermato che l’Eucaristia genera, o non genera, la Chiesa…
Pe. Marco