Questa vicenda ben nota, che vede coinvolto l’apostolo Tommaso, ci obbliga a riflettere sul tema della Fede, perlomeno nella sua specificità cristiana.
A questo riguardo dobbiamo guardarci bene dal ridurre la questione ad un’alternativa tra la fede e la ragione. Infatti, molti non credenti, o agnostici, si rifanno a questa vicenda, per concludere che loro, come Tommaso, potrebbero credere (sic) solo a partire da un dato esperienziale.
Ma in questo modo, come appare evidente, confermano che la fede è sempre in gioco.
In effetti, se voi aveste tempo e voglia di addentrarvi in una riflessione minimamente filosofica, non sarebbe difficile dimostrare che l’essere umano può vivere solo di… fede, sia essa in Gesù Cristo, che nella propria moglie, nelle opere realizzate da altri, nel mercato e quant’altro. Se non ci fidassimo degli studi e del lavoro dei nostri simili non potremmo fare niente nella vita.
Dunque noi viviamo di fede implicita, ovvero senza pensarci, nei riguardi di tutto ciò che ci attornia e ci sostiene nel vivere.
Ecco allora che il problema della vita non è se credere o meno, perché tutti crediamo in qualcuno o in qualcosa.
Il vero problema è la credibilità, l’affidabilità dei testimoni.
In altre parole la questione è verificare, se ciò che ci viene trasmesso corrisponde alla realtà, o meno. Il nostro mondo tecnocratico e iper-scientifico ha creato quella realtà interessante, che sono le fake-news. In modo molto semplice questa realtà ci rivela che il problema fondamentale del mondo occidentale è esattamente… la fede. Infatti, quando veniamo investiti da notizie contrastanti e contraddittorie, alla fine di tutto diciamo: ma non si sa più a chi credere! E già, è proprio così…
A chi dobbiamo credere?
A chi consegnare la nostra fiducia e chi invece non la merita? Qui sta tutto il problema dell’affidabilità dei testimoni, siano essi gli Apostoli di Gesù, piuttosto che l’ingegnere che ha firmato l’agibilità della casa in cui abitiamo. Certamente la posta in gioco è diversa e me ne rendo ben conto, ma sempre di affidabilità si tratta.
La vicenda di Tommaso è entrata nel Vangelo di Giovanni, perché lui per primo ha vissuto ciò che ogni uomo avrebbe dovuto vivere nei riguardi di Gesù.
Infatti, se osserviamo con attenzione, possiamo riconoscere che nella sua persona sono presenti sia il non credente (la prima reazione), che il credente (la seconda e definitiva risposta). Qual è stato, allora, il vero problema di Tommaso? Fidarsi, o meno, della testimonianza degli altri Apostoli. Lui, infatti, non si è fidato. E così faranno gli atei e gli agnostici di tutte le epoche della storia.
Orbene, quando diciamo Apostoli, diciamo la Chiesa. Ecco allora, ancora una volta, come le vicende della fede cristiana sono intrinsecamente legate alle vicende della Chiesa.
Anche da questa prospettiva possiamo cogliere l’importanza di quella verità, ahimè, troppo dimenticata: la Chiesa Corpo di Cristo. Infatti, come per Tommaso, così anche per noi la Fede in Gesù passa attraverso la testimonianza della Chiesa, a cominciare dagli Apostoli fino ai nostri genitori e le nostre catechiste.
Questo legame non è occasionale, o casuale: è andata così, ma poteva andare in un altro modo. No, in realtà questo legame Gesù-Chiesa inizia, per volontà divina, fin dal momento in cui lo stesso Gesù sceglie deliberatamente i Dodici e li manda avanti a sé sulle strade della Palestina. Certamente abbiamo constatato, durante questi primi duemila anni di cristianesimo, che lo Spirito opera misteriosamente ben oltre le azioni messe in atto dalla Chiesa. D’altro canto, però, sarebbe gravissimo abbandonare la Chiesa al suo destino, viste le nostre molte infedeltà al Vangelo, ed affidarsi unicamente all’azione dello Spirito. Penso che sarebbe una scelta troppo comoda, della quale dovremo rendere conto al Signore.
D’altro canto, da quanto fin qui detto risulta chiaro che la Chiesa, in quanto Corpo di Cristo, sua manifestazione visibile in ogni epoca della Storia, non può permettersi di annunciare qualcosa in cui lei, per prima, non crede e non vive. Questa distinzione/divisione, che potremmo ricollegare all’antico adagio “ambasciator non porta pena” potrebbe valere, dentro uno schema di estraneità tra Gesù e la Chiesa. Ovvero, se la Chiesa è quell’istituzione deputata a parlare ed a difendere Gesù, allora certamente non ha l’obbligo di fare ciò che Lui ha fatto. Ma, nella prospettiva della Chiesa Corpo di Cristo questa possibilità non si dà. Certamente ci sarà sempre uno scarto, una differenza tra il Gesù storico e la vita della sua Chiesa: questo scarto è inevitabile ed insuperabile.
Altra cosa invece è l’estraneità cui accennavo poco sopra e, ahimè, pane quotidiano di molti, troppi, cristiani. Ed il fatto drammatico, a mio avviso, è che questa estraneità non deriva innanzitutto dall’incoerenza della vita, bensì da una trasmissione errata del nostro rapporto con Gesù.
Ecco allora che, alla luce di questi elementi per niente secondari, possiamo cogliere più in profondità la forza e la densità della risposta data da Pietro e Giovanni al Sinedrio: “Se sia giusto dinanzi a Dio obbedire a voi invece che a Dio, giudicatelo voi. Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato”.
Questa urgenza, questa doverosità, non nasce da un ordine esterno, o da qualche legge punitiva. Tutt’altro! Nasce da una relazione e da un’appartenenza con Gesù Risorto. Loro hanno accettato di essere il Suo corpo, la sua voce, la Sua presenza, per dire quanto è successo. Altre preoccupazioni, o altre logiche, non li riguardano; non vogliono neanche prenderle in considerazione.
Invece, senza voler fare la solita carrellata di esempi a partire dalla storia della Chiesa, tutt’oggi quante paure, quanti calcoli politicamente corretti, quanto uso del senso comune, quante preoccupazioni con le conseguenze, contaminano la prassi e le scelte della Chiesa, dalla gerarchia ai nostri gruppi parrocchiali.
Se realmente crediamo nella presenza di Gesù Risorto accanto a noi, non possiamo più sorvolare su queste contraddizioni.
Pe. Marco