Carissimi amici e fratelli, mentre mi accingevo a meditare su queste letture in vista di questa meditazione settimanale, ho dato un’occhiata ai messaggi di whatsapp, per non correre il rischio di rispondere dopo ore a richieste urgenti. Così, come spesso mi succede, non ho saputo resistere alla tentazione di leggere la riflessione di Enzo Bianchi, relativa alle vicende drammatiche di questi giorni. Una vera bomba! Una delle pochissime voci, che si preoccupa di offrire una prospettiva evangelica, dalla quale vivere questo tempo drammaticamente singolare. Non che sia d’accordo su tutto quanto egli dica, anzi! Però condivido e sottoscrivo totalmente la preoccupazione che lo muove, le domande di fondo, che pone all’inizio della sua riflessione: come dobbiamo vivere da cristiani questo tempo? Come ci poniamo da credenti dentro i dilemmi creati da questo virus? E sì, perché ancora una volta debbo risaltare che il cristiano non è chiamato, innanzitutto, ad obbedire alle Leggi. La nostra prima ed assoluta obbedienza deve essere al Signore del Vangelo!
E così, come avrete già intuito, la mia riflessione è stata drammaticamente segnata da questa lettura, semmai ce ne fosse bisogno di questi tempi.
Preferisco partire dalle provocazioni di Enzo, perché nascono dal vissuto di questi giorni.
Ecco allora che, come il virus ha abbattuto uno per uno tutti gli idoli, che distraevano la nostra vita, al tempo stesso ha messo a nudo la nostra Fede. In questa spoliazione siamo tutti obbligati a chiederci, perché credo in Gesù di Nazareth? Oppure credo semplicemente in Dio, come i pagani? E, nel caso, che cosa ci dice specificamente il Signore, riguardo a questa pandemia?
A questo riguardo permettetemi di citare un passaggio di un’altra intervista fatta a Enzo Bianchi in questi giorni “Semplice: la debolezza della fede. Non è il tempo dei miracolisti o di processioni per guarire il virus o cose simili. Con la fede non sconfiggiamo la pandemia, è chiaro, ma i sacramenti sono cose decisive e non superflue per noi cristiani.
Hanno un significato profondo che va cercato senza attentare alla salute pubblica. Lo Stato deve capire che ci sono esigenze essenziali per tutti, ma per i cattolici è anche essenziale nutrirsi del corpo di Cristo. E qui, come avrete notato, ritornano alcune questioni da me poste settimana scorsa; ovvero la vera sfida per noi cristiani, è quella di far emergere le radici della nostra Fede; e queste radici sono la certezza della Vita Eterna, se questa vita terrena è vissuta con e in Gesù. Questo è il centro ed il fondamento del nostro fare terreno, sapendo che lo stesso non è il nostro fine ultimo.
Per questo motivo focalizzarsi solo ed esclusivamente sul dato esperienziale, sui fatti di questa vita, su questo virus, significa non avere una prospettiva cristiana dalla quale guardare l’intero problema.
Al tempo stesso, però, Enzo accenna alle distorsioni della nostra Fede, che sono state alla base di tante richieste di ripristino delle celebrazioni: l’abbandonarsi irrazionale al sacro quale ultima spiaggia per sconfiggere il virus; ma questa non è la fede cristiana! E qui forse sta una delle debolezze della riflessione di Enzo: quella di parlare e riflettere di Liturgia e Sacramenti a partire dalla sua esperienza monacale di Bose. Ovvero, dalle sue parole nell’articolo citato trapela con troppa evidenza una visione della Liturgia e della Comunità certamente evangelica, ma che raramente corrisponde al vissuto medio del cristiano ordinario. Basterebbe riandare alle varie indagini sulle nostre Celebrazioni Eucaristiche e sul popolo che le frequenta.
Un esempio per tutti. Ad un certo punto dell’intervista si dice: “Ma la virtualizzazione della liturgia significa morte della liturgia cristiana, che è sempre incontro di corpi e di realtà materiali”. Ineccepibile, perfetto! Eppure, se togliamo le eccezioni “concesse” alle Messe dei ragazzi, che cosa ne è della corporeità nelle nostre Celebrazioni Liturgiche? Più che alzarsi e sedersi, rigorosamente allo stesso posto, e dire prevalentemente “amen” non ci è dato partecipare coi nostri corpi. Anche a Bose, purtroppo. E dico questo pensando alle Celebrazioni Liturgiche perfette, secondo i liturgisti: i pontificali dell’Arcivescovo e del Papa. Certo, il celebrare concreto delle Comunità cristiane in giro per il mondo è ben altro. Eppure, tutto ciò è una sorta di concessione, di riduzione della liturgia, perché sia accessibile ai “lattanti dello Spirito”.
Esattamente, a partire da queste improrogabili contraddizioni, non sono così sicuro come Enzo che le scelte fatte dai Vescovi siano sbagliate. Perlomeno hanno evitato una deriva fideistica delle celebrazioni di questi giorni.
Detto ciò, prendo spunto dal dialogo tra Gesù e i discepoli posto all’inizio del Vangelo odierno, per recuperare la questione fondamentale posta da Enzo Bianchi: come dobbiamo comportarci, per vivere da cristiani dentro questo dramma? Senza preoccuparci “se è sabato il giorno in cui facciamo le nostre cose”; ovvero, senza preoccuparci di essere capiti, né tanto meno di essere accolti favorevolmente nel nostro agire. Ma, anche a questo livello, vorrei rimproverare ad Enzo un certo clericalismo inconscio, quando focalizza troppo la sua attenzione sui vescovi e sui preti. Purtroppo qui non si tratta di vedere, sempre e solo, ciò che stanno facendo le persone consacrate.
Anche perché non è detto da nessuna parte che siamo l’emblema dei discepoli di Gesù. Qui la questione riguarda i credenti ed i discepoli in quanto tali. Qui si tratta di chiederci come Comunità dei discepoli di Gesù: che cosa possiamo fare per soccorrere, consolare, accompagnare chi è stato più gravemente colpito dal virus? E ancora, quando sarà passata la crisi sanitaria: che economia, che società possiamo costruire a misura di tutta l’umanità, già che gran parte delle attuali strutture economico-finanziarie saranno crollate?
Queste domande dovremmo lasciarle risuonare tra noi credenti, per poi divulgarle nella società; senza scontrarci con le autorità civili per partito preso, ma anche con la necessaria libertà evangelica di arrivare laddove il mondo non può, o non vuole arrivare. A partire da questa domande sono fioriti i più grandi cammini di santità nella Chiesa; così come in questi giorni noi stiamo assistendo a vere e proprie esperienze di martirio, per soccorrere i più deboli.
Ecco allora l’importanza in questo momento storico di riconoscerci in questo cieco del Vangelo.
Certamente il dramma che stiamo vivendo rivela tutta la nostra inadeguatezza umana e cristiana. Nonostante le enormi risorse economiche e tecnologiche, che stiamo mettendo in gioco, non sappiamo esattamente dove ci porterà questa tragedia. Già questa vicenda ha messo a nudo le enormi contraddizioni del nostro sistema sociale ed economico. Non ultime le incertezze nel prendere le decisioni più radicali semplicemente perché osteggiate dai settori economici, preoccupati dei possibili crolli economico-finanziari. Per questo motivo sarebbe tragico se ne uscissimo solo con soluzioni tecnocratiche ed economicistiche.
Invece questa, come tutte le situazioni limite, ci chiede drammaticamente di recuperare la pienezza dell’umano, la densità e la profondità del nostro essere uomini, figli dell’unico Padre e legati da quella fraternità, che è l’unico vero bene che abbiamo su questa Terra.
Oggi ho ricevuto un bellissimo messaggio da una mia ex parrocchiana brasiliana, la quale mi diceva: “Speriamo che questa tragedia faccia vedere ai potenti ed ai ricchi della Terra come soffrono normalmente le milioni di vittime della fame e delle malattie dei poveri. Se non ritornano ad essere umani ora, siamo davvero messi male”.
Ecco io chiederò nell’Eucaristia di questa Domenica esattamente questa grazia, per me e per tutti i privilegiati della Storia, quella di “vedere” sempre l’umanità sofferente, per cercare di soccorrerla con la propria vita.