“Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”.
Come ben sapete e come cerco di fare in queste semplici riflessioni, la Parola di Dio va sempre meditata tenendo conto delle contesto storico, in cui è nata, e del contesto storico nel quale la stiamo meditando.
Infatti è Parola di Dio per e sulla nostra vita; ovvero lo sguardo e l’agire del Signore, dentro la concretezza delle nostre gioie e delle nostre angosce.
Per noi, che in gran parte non abbiamo conosciuto il dramma della Seconda Guerra Mondiale, quella che stiamo vivendo probabilmente è la situazione più estrema ed angosciante mai vista finora. Personalmente riesco a trovare qualche analogia con gli anni di punta del terrorismo; ma non si arriva comunque alla vastità ed all’intensità del momento presente.
Chi di voi mi conosce un po’, sa quanto mi sono cari questi i due versetti evangelici citati all’inizio; tant’è che danno il nome anche al sito dell’Associazione che mi accompagna.
Detto ciò, risulta chiaro che, al di là della contingenza storica in cui Gesù la pronunciò, questa frase porta in sé una “pretesa” assoluta; e la “pretesa” è quella di Gesù di essere la risposta per eccellenza per la nostra libertà, incerta e confusa.
Ebbene sì; nonostante noi ce lo dimentichiamo facilmente; anzi, nonostante noi abbiamo costruito una civiltà millenaria per allontanare la consapevolezza della nostra precarietà, ebbene, nonostante tutto ciò, Gesù ci viene incontro, innanzitutto buttandoci in faccia ciò che noi siamo: libertà, “esistenze gettate nel mondo” senza alcuna possibilità di poter essere padroni di noi stessi, senza sapere esattamente cosa fare di noi stessi.
Per questo motivo abbiamo bisogno, aneliamo alla Verità della nostra Vita. Infatti, non è un caso che Gesù non dica mai nel Vangelo ciò che la nostra cultura sbraita a più non posso: la libertà vi renderà veri!
Alla luce di queste ed altre riflessioni mi sono chiesto: i cristiani come stanno vivendo questo tempo drammatico? Ovvero, che tipo di risposte e di atteggiamenti stiamo mettendo in atto per capire e reagire a questa sofferenza?
Permettetemi subito di chiarire che il mio sguardo intenzionalmente è rivolto al Popolo di Dio in quanto tale e non soltanto alla solita, vituperata, gerarchia. Infatti, quando ci si trova in queste situazioni estreme, non serve appellarsi alle leggi ed alle gerarchie; ciò che conta è che ne facciamo della Parola di Gesù Cristo.
Alla luce di quanto detto, la mia sensazione finora è che non ci sia stata una differenza cristiana nel vivere questo momento. Certamente, cercando, possiamo trovare casi isolati, che fanno la differenza. Ma nell’insieme noi cristiani siamo tranquillamente accodati nel condividere l’angoscia generale. A scanso d’equivoci, dico subito che questa mia affermazione non vuole assolutamente mettere in discussione le norme igienico-sanitarie, diramate per contenere la diffusione del virus. Se amiamo la Vita come dono di Dio, non possiamo non sottoscriverle e non rispettarle. Mentre, invece, sono altamente discutibili i tentativi iniziali di resistere alla sospensione delle celebrazioni liturgiche; infatti, per certi versi, appaiono come un riflesso di una riduzione fideistica della Fede.
Infatti, al di là delle intenzioni personali che non posso assolutamente giudicare, queste resistenze mi sembra che rivelino un certo paganesimo ancora presente in noi, per il quale i nostri riti magico-sacrali potrebbero fare ciò che la scienza ancora non riesce a fare. Non a caso a queste rivendicazioni molto spesso si sono unite persone normalmente lontane dalla vita ecclesiale. Un esempio per tutte, ieri sera, uscendo dal supermercato, una persona sconosciuta mi ha chiesto di pregare. Ovviamente ho accolto con favore l’invito; però non riesco a non interrogarmi su ciò che sta dietro a questi atteggiamenti.
Ecco allora che, mentre lottiamo per liberarci dal virus, perché la fede cristiana è lotta per liberarci da ogni forma di dolore e d’ingiustizia, al tempo stesso dobbiamo accogliere e vivere assieme la Buona Novella, che questo virus porta inconsapevolmente con sé: noi siamo esseri gettati nel mondo per vivere l’esperienza della morte. Ho usato volutamente questo linguaggio heideggeriano per sottolineare il carattere universale di questa esperienza. Anche Heidegger, che non è certamente un filosofo cristiano, fonda la sua riflessione filosofica su questa certezza, per dirci che l’esistenza autentica la si può vivere solo a partire da questo punto di vista. Pertanto, se ci mettiamo di fronte a questa verità fondamentale, non è perché siamo pessimisti, o non amiamo questa vita. Anzi, esattamente per il contrario: proprio perché la amiamo e la amiamo fino in fondo ci diciamo ciò che realmente è: un dono che non ci appartiene.
Ed ecco, allora, che questo virus misterioso improvvisamente ci riconduce alla Verità di noi stessi e della Vita in quanto tale. Il fatto che lui possa accorciare la distanza tra noi a la nostra morte non può che essere un dettaglio, se è vero quanto detto fin qui.
Ma è esattamente a questo livello che penso dovrebbe emergere il differenziale della nostra fede e che, ahimé, non sento molto attorno a me. Infatti, se l’uomo naturale, l’uomo senza Cristo diceva Lutero, può solo esorcizzare la paura, il discepolo di Gesù passa attraverso la paura, la assume, superandola, affidandosi al Padre. Come Gesù al Getsemani, anche noi non siamo risparmiati miracolosamente dalla paura della morte, ma la possiamo assumere e superare affidandoci radicalmente al Padre.
Ecco allora che il credente autentico è colui che prega, non tanto per non essere colpito dal coronavirus, quanto per non perdere la Fede a causa del coronavirus; ossia, la sfida più grande non è contro il coronavirus, quanto la tentazione di perdere la fiducia nel Padre a causa del virus. Infatti, se Lui è la Vita, l’allontanarmi da Lui sarebbe per me fatale, ben più del coronavirus!
Non solo. Ben sapendo che la morte fisica non è il problema più grande, il credente prega il Padre, perché gli riveli il senso di ciò che sta vivendo, così che possa servire alla costruzione del Regno di Dio.
Forse a qualcuno tutto ciò, in questo momento di prova, potrà sembrare una sorta d’esibizionismo. Invece io credo che questo sia il profilo cristiano, dal quale vivere questa esperienza, che ci è affidata. Se e nella misura in cui i discepoli di Gesù vivono così, anche attraverso questa testimonianza potranno aiutare e servire l’umanità, tanto quanto la serve tutto il personale sanitario, che incondizionatamente si sta prodigando per alleviare le sofferenze dei malati.
A partire da questa prima grande riflessione, non posso non condividerne altre minori, ma altrettanto provocanti, suscitate da questi giorni di prova.
La prima la direi in questo modo provocante: dopo il coronavirus voglio proprio vedere chi ha ancora il coraggio d’inneggiare all’individualismo.
Infatti, come il Papa ripete continuamente e l’ha spiegato nella “Laudato sì”, o ci salviamo tutti assieme, o l’umanità si autodistruggerà. Che peccato che in questi giorni nessuno ha la serenità, né la voglia, di tirar fuori tutto l’armamentario retorico dell’individualismo neoliberale, il mito del self-made man! Perché questi funamboli del nulla non si sono alzati, per affrontare il virus con le loro teorie diaboliche? Per non parlare di quanto noi, quasi tutti noi, ci siamo sempre scagliati contro ogni ipotesi di legge seria, volta a limitare qualche diritto individuale in vista del Bene Comune! Così come non ho sentito ancora nessuno confessare il “mea culpa” di aver inneggiato al “Meno tasse!”, che ha avuto come principale effetto lo smantellamento dello stato sociale. Ma tutto ciò, come dicevo, ha un unico comun denominatore: l’idolatria dell’io e della sua dimensione più animale, che vorrebbe ridurre l’esistenza a mero godimento individuale.
Il coronavirus ha mostrato, ancora una volta, l’inconsistenza di questo idolo, di chiara origine diabolica. Noi non siamo degli individui. Noi siamo delle persone sociali, ovvero costituiti dalle nostre relazioni con gli altri e con il mondo.
Ed è per questo motivo che sono più che giustificate le restrizioni alle nostre libertà individuali imposteci in questi giorni. Il Bene Comune, il Bene dell’umanità, viene prima ed ingloba il nostro interesse individuale. Per questo motivo erano ingiustificate le resistenze a tali norme in nome dei diritti assoluti dell’io. Eppure, non possiamo non riconoscere che questa semplice verità l’abbiamo riscoperta improvvisamente solo perché… il coronavirus ci ha messi tutti di fronte alla morte. Quando la morte è quotidiana, ma lontana da noi e da quelli del nostro sangue, o della nostra razza, allora… allora non si può fermare l’economia mondiale, che immola milioni di vittime, per garantire lauti guadagni a pochi; allora non si può cambiare il capitalismo, che miete milioni di vittime per il cambiamento climatico e via dicendo.
Confesso che in questi giorni mi ritornano alla mente le famose piaghe d’Egitto, non tanto come castighi divini secondo l’accezione più tradizionale, quanto per ciò che erano realmente: segni da parte di JHWH per cercare di convertire il faraone oppressore. E se il coronavirus fosse qualcosa del genere, per demolire l’ipocrisia di questo sistema economico, del quale noi siamo le colonne portanti?
Dulcis in fundo, vi confesso che io prego perché possiamo renderci conto e gustare la bellezza della semplicità di questi giorni. Ciò che noi non riuscivamo a fare, nonostante le molte Quaresime e le penitenze inutili, il virus l’ha fatto. Ovvero, ci ha obbligati a chiederci di che cosa abbiamo veramente bisogno e quali sono le relazioni fondamentali da curare. Che Grazia constatare quante cose inutili facevamo! Quante strutture inutili tenevamo in piedi semplicemente per divertirci, o per organizzare socialmente la distrazione dal pensiero della morte! Quanto tempo ci si è liberato improvvisamente! Che Grazia se osassimo sognare un Altro Mondo possibile!
Anche questa è una delle verità che ci renderebbe più liberi…
Pe. Marco