Le letture di questa domenica, in particolare la seconda ed il Vangelo, ci permettono di approfondire l’annoso problema del rapporto tra la Legge e la Fede, o meglio tra la Legge ed il Vangelo. Questo, come sappiamo, è un tema caro a S. Paolo, che l’ha sviscerato e scandagliato come pochi altri. Però, come ben sappiamo, il pensiero e la teologia di S. Paolo sono pressoché sconosciuti al cattolico medio, o alla maggioranza dei battezzati.
In totale sintonia con il metodo evangelico, possiamo partire dalla vita, dalla realtà. E la realtà, che oggi ci viene presentata, è quella di questa donna, colta in flagrante adulterio e meritevole di castigo, addirittura di lapidazione, secondo la Legge di Mosè. Per non perderci in approfondimenti secondari, è bene notare che la Legge di Mosè era il massimo, l’apice della rivelazione divina per gli Ebrei. Quindi non stiamo parlando di norme civili, legate alle regole del buon costume come si diceva in passato. No, stiamo parlando di una norma religiosa e civile ad un tempo.
Eppure, come ha ben smascherato Gesù, questa norma è palesemente insufficiente e, conseguentemente, ingiusta.
Gesù non contesta le leggi in generale, o questa in particolare. Anzi, implicitamente possiamo dedurre che riconosca il valore della Legge, per discriminare il bene dal male. Tant’è che dice chiaramente, anche alla donna, che lei ha sbagliato. Eppure questa, come molte altre leggi, è incapace di rendere ragione di tutti gli elementi in gioco; è incapace di abbracciare l’insieme della realtà in questione, con tutte le sue sfaccettature ed i suoi dettagli. Per questo motivo queste leggi, quando pretendono di colpire i colpevoli, finiscono per produrre delle conseguenze molto, molto peggiori, che il male di partenza.
Permettetemi a questo punto una piccola riflessione di carattere personale, pertanto non necessariamente da condividere.
Come mai si è resa possibile questa e le altre innumerevoli ingiustizie, perpetrate sotto la copertura rassicurante di una legge? A questo riguardo vorrei rimandarvi alla (ri)lettura di quel testo profetico, che è lo scritto di don Milani “L’obbedienza non è più una virtù”. Lì troverete una carrellata di eccidi e massacri perpetrati da onesti contadini cattolici, educati da secoli all’obbedienza tout court alle leggi, siano esse dello Stato che della Chiesa. E così, quelle povere vittime delle strutture di peccato, sorte anche sotto l’egida delle leggi morali, hanno massacrato milioni di altre persone, a loro volta vittime come loro.
Il fatto è che, troppo spesso, noi dimentichiamo che tutte le leggi, sia religiose che civili, vengono comunque formulate ed elaborate da uomini e donne in carne ed ossa. Conseguentemente, che lo si voglia o no, risentono dei condizionamenti e dei punti di vista di coloro che le hanno elaborate e, soprattutto, dei loro interessi in gioco. Nel caso specifico del Vangelo di oggi, è evidente che questa normativa è stata elaborata da uomini, dentro una cultura decisamente maschilista. Ciò indipendentemente dalle buone o cattive intenzioni del gruppo di uomini, citato dal Vangelo.
Ecco allora che l’appello assoluto all’obbedienza alla legge, o all’autorità, non è sufficiente per garantirci l’accesso al Bene, non è sufficiente per aiutarci a fare il Bene, perché non tiene conto di tutti questi fattori in gioco. In questo caso, come in tutte le situazioni vissute da Gesù, si può cogliere una domanda molto più profonda e radicale, che orienta le sue prese di posizione: in questa situazione, chi è il più debole, l’oppresso, il povero, per dirla in un modo più generale? E quali le conseguenze della legge su di lui? E’ da questo punto di vista, che possiamo cogliere il senso dell’affermazione “JHWH fa la scelta preferenziale dei poveri”.
Infatti, se, come Gesù, ci lasciassimo guidare da questa domanda, eviteremmo di far cadere sempre sulla parte più debole il peso e la responsabilità dei mali della nostra società, non ultimo quello morale.
Nel caso della donna del Vangelo, non è difficile immaginare che, in quel contesto patriarcale e maschilista, certamente la sua responsabilità in quell’adulterio non poteva che essere minima, o forse inesistente. Eppure lei dovrebbe portare da sola tutto il peso e le conseguenze di quel peccato.
Pertanto, personalmente ritengo che prima di tirare in ballo una misericordia a basso prezzo, sarebbe meglio approfondire questo legame fondamentale tra la Misericordia e la Giustizia. Infatti, Gesù mette in luce chiaramente che, innanzitutto, la questione in gioco, è una questione di Giustizia; la sua scelta misericordiosa certamente ridà vita alla donna, dopo il suo peccato; ma, più radicalmente, impedisce di aggravare una situazione ingiusta con ulteriori atteggiamenti ingiusti.
Ecco allora che, se da un lato non possiamo rinunciare al ruolo delle leggi per distinguere il bene dal male, dall’altro la loro applicazione deve sempre essere orientata dal punto di vista di Gesù e di suo Padre: quello di chi guarda la realtà dalla parte dei poveri e degli oppressi.
Pe. Marco