Molto a malincuore, a causa delle leggi degli uomini più importanti del Vangelo, siamo costretti, noi ambrosiani, a celebrare la Festa della Sacra Famiglia, mentre il resto della Chiesa celebra la Giornata Mondiale della Parola di Dio. Grazie a Dio ci viene almeno offerto, come brano di riferimento, questo Vangelo di Luca, paradigmatico per comprendere il ruolo della famiglia dentro il piano divino della Salvezza.
Per cogliere la novità cristiana sul tema fondamentale della famiglia, dobbiamo partire dal conflitto tra Gesù ed i suoi genitori, narrato con molta cautela da S. Luca. In tempi ormai lontani, questo testo mi suscitava non pochi dubbi e perplessità: ma come, la famiglia ideale vive anche lei dei conflitti? E poi, in questo conflitto, chi ha ragione? Ovvero, a partire da questo conflitto generato dalla concretezza della vita, qual è il bene prevalente, qual è il valore prioritario: l’obbedienza ai genitori, o l’obbedienza al Padre? E sì, perché di questo si tratta. Infatti Maria e Giuseppe non hanno chiesto una cosa sbagliata. Eppure, Gesù “deve” disubbidir loro. Scartata in partenza la lettura apologetica, per la quale, ciò che Gesù fa, va’ sempre bene, ma ai genitori bisogna sempre ubbidire, forse ci è chiesta un’accoglienza più libera e radicale del Vangelo, a fronte delle pur legittime tradizioni umane.
E il dono che Gesù ci fa è la rivelazione che la famiglia di sangue non è tutto, né il bene sommo, neanche qui su questa Terra. Il bene sommo è fare la Volontà del Padre, come Gesù ci ha mostrato, e vivere in comunione con tutti coloro che fanno la Sua volontà, la Comunità dei discepoli di Gesù. Questa è la Buona Novella! Pertanto, coloro che dicono di affidarsi a questa Parola dovrebbero vivere e comportarsi di conseguenza; cioè non possono più mettere al primo posto la loro famiglia di sangue. Dentro questo orizzonte possiamo capire il senso del conflitto, sopra citato, e la sua inevitabile soluzione.
Per capire meglio il senso delle parole di Gesù, consiglio di andare a rileggere il cap. 3 del Vangelo di Marco, che abbiamo letto nelle Messe feriali di questa settimana. Anzi, è necessario rileggerlo integralmente, visto che i nostri “santi” liturgisti hanno diligentemente censurato i versetti più scandalosi, ovvero i vv. 20-21 “Entrò in una casa e si radunò di nuovo attorno a lui molta folla, al punto che non potevano neppure prendere cibo. Allora i suoi, sentito questo, uscirono per andare a prenderlo; poiché dicevano: «È fuori di sé».”; e qui siamo ben oltre l’infanzia di Gesù; questi versetti riflettono la distanza tra Gesù e la sua famiglia di sangue, Maria compresa (vedi v. 31).
Ciò non significa l’annullamento ed il superamento dell’istituzione familiare. Nessuna parola di Gesù ci autorizza ad arrivare a questa conclusione. Certamente la famiglia di sangue, che è pur sempre una creazione divina, ha un ruolo fondamentale nell’introdurci nel mondo, sia da un punto di vista biologico, che socio-relazionale. In altre parole la famiglia di sangue è colei che è chiamata ad insegnarci i primi rudimenti della difficile arte del vivere.
Però, nella misura in cui cresciamo in “sapienza, età e grazia”, siamo chiamati a rispondere alla chiamata di Gesù, che insegna a ciascuno di noi come vivere da figli di Dio. In questo percorso il Signore colloca sulla strada di ciascuno di noi altri uomini ed altre donne, che pure hanno scelto di essere suoi discepoli e con questi siamo chiamati a vivere una familiarità, una fraternità più ampia e più profonda: quella di coloro che hanno posto la volontà del Padre, il Regno di Dio, come loro ideale di vita. Ovviamente, se tra questi ultimi vi sono anche i nostri parenti di sangue, ben vengano! L’importante, però, è che questo legame ed i suoi interessi non prevalgano e non condizionino l’obbedienza all’unico Padre di tutti.
A questo livello si colloca la possibilità del conflitto ed, eventualmente, della disobbedienza ai genitori secondo la carne. Questa disobbedienza non deve necessariamente giocarsi sulle grandi scelte della vita. Anzi. Ogniqualvolta la mia coscienza, posta di fronte al Vangelo di Gesù, mi fa intravvedere un di più, o qualcosa di diverso, che potrei fare, allora in questi casi “devo ubbidire prima al Padre, che agli uomini”. In questa prospettiva dovrebbe essere ancora più chiara la vocazione della famiglia cristiana: quella di educare a questa obbedienza radicale dettata dalla Fede e, conseguentemente, di relativizzare sé stessa di fronte all’unico assoluto, che è il Padre ed il suo Regno.
Ecco, però, che una famiglia realmente cristiana, non formalmente tale, sarebbe la più grande scuola di libertà, che l’umanità conosca. Infatti, se tutti i bambini battezzati venissero educati in questa prospettiva, quale potenziale rivoluzionario l’umanità avrebbe a disposizione, per combattere tutti i potenti e le strutture autoritarie da essi prodotte. Invece…
Invece, mi chiedo che cosa ne hanno fatto della famiglia i cristiani. E non sto pensando agli ultimi 50-60 anni della storia umana, segnati dalle battaglie culturali contro tutte le forme istituzionali! No, sto pensando alle famiglie della cristianità, ovvero di quell’epoca, che continuiamo a dipingere come aurea, per la storia del cristianesimo. A parte le solite, lodevoli eccezioni la grande massa dei battezzati venne educata ad obbedire, in modo pressoché assoluto, ai genitori ed al padre in particolare. Praticamente nella coscienza di quei miliardi di cristiani il padre terreno era la mera incarnazione del Padre di Gesù, senza alcuna soluzione di continuità. E così, sempre senza alcuna soluzione di continuità, si passava ad obbedire al maestro, al padrone, al sindaco, al re… al duce; tutti chiaramente rivestiti indebitamente di quest’aurea divina.
Ma, anche oggi, in questo contesto fortemente secolarista e libertario ad un tempo, la famiglia cristiana è cosa ancora molto rara. Purtroppo il ripiegamento borghese su di sé e un diffuso psicologismo asfissiante molto spesso tolgono alle famiglie d’ispirazione cristiana lo slancio e la spregiudicatezza della fede di Gesù di Nazareth.
Pe. Marco