La liturgia natalizia, dopo averci fatto intuire le profondità divine, dalle quali è scaturito il Mistero dell’Incarnazione, oggi ci riporta agli inizi della vita pubblica di Gesù, con questo discorso programmatico, pronunciato nella sinagoga di Nazareth. Dal momento che Gesù è esattamente il contrario dei nostri politicanti, che dicono ciò che non faranno mai, in questo discorso ci dà già le chiavi di lettura per interpretare il suo ministero. O se volete, più profondamente, nel Vangelo di oggi il Verbo del Padre ci dice qual è il criterio fondamentale della Sua azione salvifica.
Purtroppo, vista l’abissale distanza della nostra pastorale ordinaria da queste prospettive gesuane, mi sembra importante rimarcare come Gesù avesse una gamma di possibilità davanti a sé, quando dovette scegliere la forma messianica più confacente alla sua missione salvifica. Se Lui ha scelto questa, allora questa è la forma umana di vivere, che meglio esprime la forma trinitaria di vivere e di agire.
Su questo intreccio e su questa reciproca relazione, purtroppo a mio avviso, la nostra consapevolezza ecclesiale è quasi inesistente, perché lungo la storia è stata via, via spostata l’attenzione su altri aspetti della vita di fede.
Venendo al nostro testo evangelico, risulta inequivocabilmente che Gesù ha inteso la sua azione salvifica essenzialmente come un’azione liberatrice. Certamente da questa azione non dobbiamo escludere il riferimento alla cura ed al sollievo ai mali fisici (la prigionia, la cecità…), ma l’insieme della citazione di Isaia 61, con l’accenno specifico ai poveri ed agli oppressi, lascia trasparire il carattere totalizzante di questa affermazione. Gesù intende fare della sua vita una testimonianza di solidarietà totale con la causa dei poveri e degli oppressi, qualunque sia la povertà e l’oppressione, perché gli stessi possano sentire attraverso di Lui l’attenzione e la predilezione del Padre, totalmente solidale con il loro cammino di emancipazione e di liberazione.
In ciò, attraverso questa opzione esistenziale, si realizza e si manifesta “l’Anno di Grazia”, il Kayros, il Tempo favorevole, opportuno, il Tempo che il Padre libera dai suoi condizionamenti più tragici: gli effetti dell’egoismo e del peccato.
Tutto ciò, però, non deve essere inteso in senso miracolistico, nel senso che la mera presenza fisica di Gesù opera tale liberazione. A tale riguardo, non sono rare le volte in cui abbiamo usato l’Eucaristia esattamente in questo senso miracolistico, per il quale basta la presenza e tutto è risolto.
In realtà qui Gesù ci anticipa il criterio con il quale dobbiamo rileggere il suo agire nel mondo. Ecco allora che tutto in Lui è orientato da questa azione liberatrice, volta ad emancipare gli uomini e le donne da tutte le forme di schiavitù ed oppressione, manifestazioni tangibili dell’egoismo e del peccato umano.
Se questo è il criterio, la stella polare, che guida l’agire di Gesù, ne consegue che anche il Suo Corpo, la Chiesa, dovrebbe orientare tutta la sua prassi pastorale attorno a questo criterio fondamentale. Certamente, per la Chiesa e per noi che ne siamo le membra, ciò significa innanzitutto l’attenzione a vivere la nostra vita in una tensione continua a liberarci dalle varie forme di schiavitù. D’altro canto, questa dimensione personale/soggettiva non è mai sufficiente per la vita di fede; anche se, da secoli, le nostre scuole di spiritualità e di pastorale tendono a limitarsi a questo livello, con l’inesorabile caduta nel soggettivismo spirituale e pastorale.
A partire dalla necessaria tensione personale detta sopra, è assolutamente necessario, che la Comunità dei credenti sia protesa a continuare, oggi nella storia, l’azione liberatrice di Gesù. Ciò perché il discernimento e lo scambio fraterno ci aiutino a mettere in luce meglio le forme e le modalità contemporanee della povertà e dell’oppressione. Infatti, nel nostro occidente decadente, molto spesso confondiamo la vera Liberazione con la ricerca spasmodica e forsennata di piaceri e capricci soggettivi ed elitari.
Inoltre, quanto più la Chiesa sarà realmente e concretamente mossa dalle stesse passioni di Gesù, tanto più sarà riconosciuta come la Sua Chiesa; ovvero sarà segno tangibile e concreto della sua presenza nel mondo contemporaneo, casa e rifugio per le vittime e gli oppressi della Storia.
Pe. Marco