Per un inquadramento generale di questi testi, è bene ricordare che il tema di fondo è quello della Sapienza, presentata innanzitutto attraverso colui che nell’AT è ritenuto il sapiente per eccellenza: Salomone. Ben noto è il brano qui citato, che riporta questa sua preghiera all’inizio del suo regno molto contraddittorio. Anzi, benché non sia la linea proposta dai nostri liturgisti, proprio la memoria della su vicenda esistenziale ci può aiutare nell’approfondimento di queste tre letture.
Infatti, questo uomo doveva essere caratterizzato da un’intelligenza al di sopra della media ed anche da una buona dose di sapienza, nel risolvere situazioni complesse e contorte. Purtroppo, però, non è riuscito sostanzialmente a gestire con sapienza la sua vita. Una passionalità esuberante, unita ad un’incontenibile sete di gloria e di potere, hanno tragicamente segnato la sua vita. Infatti, al di là della sua ben nota dissolutezza sessuale, è lui che porrà le premesse, che porteranno alla spaccatura del regno operata dai suoi figli.
E così, in poche battute, siamo ricondotti alla domanda fondamentale: che cos’è la Sapienza per il Vangelo? Che cosa dobbiamo fare per diventare sapienti?
Mi pare che la prospettiva sintetica, dalla quale rispondere a queste domande, sia l’affermazione categorica di S. Paolo: “Se qualcuno tra voi si crede un sapiente in questo mondo, si faccia stolto per diventare sapiente, perché la sapienza di questo mondo è stoltezza davanti a Dio”. Quindi, per intraprendere il percorso della Sapienza, non basta un generico riconoscimento della propria “ignoranza” (già Socrate qualche secolo prima riconosceva che l’unica sua certezza era quella di non-sapere…). Oltre a questo primo passaggio, pur importante, occorre anche “ritenere stolto” tutto ciò che non è stato sottoposto, o non è passato al vaglio “della Croce di Cristo”, per usare sempre il linguaggio paolino. O, se vogliamo, per usare un linguaggio rigorosamente gesuano “Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per me, la salverà.” Lc 9,24. In altre parole, per Gesù, per poter entrare nella logica della Sapienza del Padre, è necessario fare innanzitutto questa opzione radicale: non avere altro criterio di giudizio sulla realtà, se non quello che viene dalla pratica di vita di Gesù di Nazareth. Se nel nostro “non-sapere” assumiamo quotidianamente Lui come criterio dei nostri giudizi e delle nostre scelte, ecco che allora entriamo nel cammino della Sapienza.
Alla luce di quanto detto, sapientemente la liturgia di oggi ci riporta un testo evangelico, che ci indica il secondo passaggio richiestoci da questo cammino. Infatti, se “la stoltezza della Croce di Cristo” è il criterio fondamentale e permanente per camminare nella Sapienza, la povertà evangelica è la porta d’entrata, per dirla con S. Francesco, a quel progetto di vita che è il Vangelo. Pur ribadendo per l’ennesima volta che la povertà evangelica non deve essere confusa con la povertà materiale, o miseria, al tempo stesso dobbiamo ridirci categoricamente, quanto Gesù dichiara nel Vangelo odierno: “Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio. È più facile infatti per un cammello passare per la cruna di un ago, che per un ricco entrare nel regno di Dio!“. Come ben sappiamo, questa non è un’affermazione isolata ed estemporanea da parte di Gesù. Per chi conosce minimamente i Vangeli, sa che il Signore ci mostra continuamente l’incompatibilità di una vita appoggiata fiduciosamente sugli agi materiali ed una vita dedicata a servizio del Regno.
Purtroppo non si tratta di valutare diabolicamente se un oggetto, o un progetto materiale, siano buoni in sé e per sé. L’alternativa si pone a livello fondamentale, al livello del personale progetto di vita. Su cosa io sto puntando? Che cosa mi sta a cuore? Per che cosa voglio spendere la mia vita?
Per chi vuole mettersi a servizio del Regno di Dio non c’è tempo, né disponibilità del cuore, per accumulare ricchezze, o consumare meccanicamente beni. Chi vive del e per il Regno di Dio basta avere il necessario per una vita dignitosa, per essere il più libero possibile per questo grande sogno.
Viceversa, se io mi chiedo diabolicamente ed ingenuamente: “Ma questa “cosa” è buona o cattiva, è bene o male?”, inesorabilmente mi ritroverò sommerso di “cose” e di impegni, al punto tale che, quando ascolto la Parola di Gesù, non posso che andarmene triste come il giovane ricco. Troppe cose dovrei lasciare per poterlo seguire. E sia ben chiaro che questo lasciare non ha necessariamente a che vedere con una vita consacrata… Questo lasciare potremmo semplicemente tradurlo con il nostro “non ho tempo”.
Siccome questo rapporto tra le ricchezze ed il Regno di Dio è un rapporto dinamico e legato a molti fattori personali, non potremo mai stabilire per legge quanto e che cosa si deve, o non si deve fare.
Ciò che possiamo mettere in atto, è uno sguardo profondamente critico nei riguardi dei beni materiali e chiedere perennemente al Signore nella preghiera la grazia di vivere appassionatamente per il Regno di Dio. Conseguentemente sapremo dare il giusto peso ai beni materiali.
Pe. Marco