Le letture di questa domenica, grazie a Dio, sono costruite attorno ad un tema unico ed evidente: il senso ed il ruolo delle autorità politiche nella vita del cristiano. Prima di soffermarmi sul ben noto detto di Gesù, penso valga la pena prestare attenzione alla dinamica, che portò alla scelta monarchica da parte di Israele. Innanzitutto vorrei sottolineare il fatto che questa scelta non fu né scontata, né pacifica.
Dall’insieme delle testimonianze bibliche risulta molto evidente, benché di solito dimenticato dai cristiani, che quella scelta fu praticamente imposta dal popolo a JHWH; o, se vogliamo dirla in altro modo, quella scelta venne accettata da JHWH per la testardaggine del popolo, che… “voleva essere come gli altri popoli”, ossia avere un re in carne ed ossa, nonostante il prezzo altissimo di questa opzione. Infatti, seguendo la testimonianza del libro dell’Esodo, Israele ha già il suo re: JHWH. Di fatto, tutta l’epopea della lotta di Liberazione ci viene presentata come una lotta tra il popolo del faraone ed il popolo di JHWH: Lui è il comandante di questo popolo e Mosè ne è semplicemente il portavoce. Su questa falsariga, durante i primi duecento anni circa di permanenza nella Terra di Canan, Israele elabora un sistema socio-politico basato su questo principio di fondo.
Nei momenti di maggior necessità vengono nominati dei leader, i Giudici, dotati di una sorta di super poteri, ma solo in vista e fino a che non fosse risolto il problema.
Ma Israele, pur allegando varie giustificazioni, di fatto non resse il peso della sua singolarità e della sua unicità. Vivere perennemente alla presenza di questo Re, così impalpabile e così potente ad un tempo, è qualcosa di insostenibile per il popolo, che ormai ha abbondantemente dimenticato la durezza della schiavitù egiziana. Mutatis mutandi, è un po’ la stessa difficoltà che incontriamo oggigiorno nel far rivivere alle nuove generazioni il dramma del fascismo e della Seconda Guerra Mondiale, con la conseguente necessità di difendere i principi democratici fondamentali. E così, come l’occidente sogna il “presidenzialismo imperiale” americano, allo stesso modo il popolo d’Israele volle testardamente essere dominato da un re, anche a costo di rinunciare alle sue strutture socio-politiche, decisamente più libere ed avanzate delle nazioni vicine.
Venendo ora al famoso detto di Gesù, è chiaro che Lui riconosce inequivocabilmente l’importanza e la necessità di un’autorità civile, per governare le società umane. In altre parole, per Gesù sia l’autorità, che il potere civili, hanno un senso ed un valore, purché collocati dentro dei limiti ben precisi. Come sempre, il bene ed il male per Gesù non si possono definire per legge, attraverso delle leggi. Così anche i limiti del potere non vengono definiti da una legge, bensì facendo interagire dinamicamente questi due principi guida: date a Cesare… date a Dio. Ammesso e non concesso che la prima parte del detto sia più semplice ed immediata, che cosa possiamo/dobbiamo dare a Dio?
Forse qualche anima, casta e pura, oltre che ingenua, risponderebbe con le solite frasi fatte: la lode, l’anima, il cuore e via dicendo; spianando così la strada ai peggiori abusi di potere. Infatti, se rinchiudiamo il Signore dentro la nostra “anima”, la vita sociale e politica non può che essere teatro dei peggiori abusi e delle peggiori sopraffazioni. Se la vita civile e sociale è totalmente e assolutamente affidata a Cesare, senza alcun limite e criterio, come potremmo ancora dire che Mussolini, Hitler, Stalin, Nabucodonosor e molti altri sono stati cattivi e malvagi, fino al punto che era un bene combatterli?
In realtà, mai come in questo caso dobbiamo aver presente ciò che Gesù e la Tradizione cristiana ci consegnano: “Non può amare Dio che non vede, chi non ama suo fratello che vede (che gli sta davanti)”; oppure “La gloria di Dio è l’uomo vivente” S. Ireneo di Lione. Ecco “cos’è” che possiamo dare a Dio: l’amore incondizionato ed il servizio reso all’uomo vivente, concreto, che il Signore colloca nella nostra vita e, quindi, anche in quella di coloro che hanno un’autorità ed un potere. O, se volete, il potere e l’autorità “di Cesare” sono legittimi e meritevoli di obbedienza e rispetto, quando si ponono al servizio degli uomini e delle donne loro affidati. Ovviamente questo servizio e questa dedizione non sono a discrezione ed arbitrio dell’autorità, bensì devono seguire il criterio evangelico principe: prima gli ultimi e gli oppressi, non gli italiani, gli ariani, gli indiani o chi per essi. Ne deriva che quando un potere, o una autorità, nella situazione storico-concreta in cui si trova, non rende questa gloria all’immagine di Dio, che è l’uomo vivente, ecco che il discepolo di Gesù non è più tenuto al rispetto ed all’obbedienza nei suoi confronti. Anzi può legittimamente lottare per abbattere questi profanatori di Dio, che ogni epoca storica produce.
Pe. Marco