Fedeli all’incredibile strutturazione di queste letture, partiamo inevitabilmente dalla prima… Anche questo racconto, come tutti gli altri di Gen. 1-11, ci porta ad approfondire una delle domande più grandi ed inquietanti, che accompagnano la vicenda umana: come è possibile ad un uomo uccidere il suo fratello di sangue? Per liberare il campo da inutili, quanto ridicoli malintesi, alla luce del Vangelo e delle più elementari acquisizioni biologiche capiamo immediatamente che, il sangue di cui si parla, è il sangue umano in quanto tale e non semplicemente il sangue dei figli nati dalla stessa madre biologica. E se anche vi fossero degli irriducibili nazionalisti, beh forse dimentichiamo che, in fin dei conti, siamo tutti figli di Eva…
Entrando nel merito della riflessione, vorrei soffermarmi sulla causa, piuttosto misteriosa, che ha dato vita alla “prima” tragedia umana. In effetti, non è ben chiara questa causa ed, a me personalmente, ha sempre suscitato perplessità ed interrogativi il fatto che una situazione, così banale e misteriosa, avesse potuto generare una tragedia tanto grande. Inoltre, è particolarmente incomprensibile la colpevolizzazione di Abele da parte di Caino. Tutt’al più dovrebbe essere colpevolizzato JHWH per l’ingiustizia commessa. Ma, forse oggi, a distanza di anni e con qualche esperienza in più capisco che tutto ciò non è casuale per lastruttura del racconto; anzi è perfettamente strumentale ad esso.
Infatti, mi sembra che in questo modo l’autore sacro voglia rimarcare la banalità e l’inconsistenza delle ragioni, che generano i nostri conflitti umani. In altre parole, con questo procedimento narrativo il testo biblico ci dice che nessuna motivazione può giustificare i conflitti da essa generati; perché la violenza genera sempre effetti e conseguenze peggiori dei problemi che l’hanno prodotta.
Non solo. La tragedia è che nella guerra e nella violenza, chi viene usato come capro espiatorio, o come pretesto, è sempre l’elemento più debole e indifeso della vicenda.
Confesso che questo dettaglio che non l’avevo mai notato; eppure è assolutamente vero. Basti pensare cosa succede nel dramma dell’aborto e dei profughi usati come merce per competizioni elettorali. Chi soffre il peso e paga le conseguenze della violenza sono, sempre e soprattutto, i soggetti più deboli e indifesi.
Detto ciò, il testo ci dice in modo emblematico qual è la vera ed unica causa reale, che ha generato questo omicidio. “Non lo so. Sono forse io il custode di mio fratello?”. Questa banalissima e disarmante risposta contiene in sé la radice del problema. Caino ha avuto bisogno di prendere le distanze, introdurre dei distinguo su ciò che non poteva essere messo in discussione, per poter scatenare la tragedia: sospendere la fraternità che lo lega indissolubilmente ad Abele. Ma questo banalissimo passaggio è ciò che permette il realizzarsi di tutte le divisioni umane e tutte le tragedie da esse generate. Infatti, ancora oggi, se “l’altro”, qualsiasi “altro/a” lo guardassimo innanzitutto per quello che è, ovvero un nostro fratello, certamente affronteremmo in modo diverso i problemi, pur veri, nei quali siamo immersi. Invece noi, soprattutto se cattolici praticanti, riconosciamo teoricamente all’altro questa qualifica di fratello, ma questo riconoscimento non va oltre la dimensione teorico-razionale. Di certo non è qualcosa di viscerale ed affettivo.
Invece, normalmente, “l’altro/a” per noi è soprattutto: uno straniero, uno zingaro, un meridionale, un piccolo trafficante, un invasore, un falso povero, un vittimista eccetera. Per non dire poi come queste categorie, molto spesso, non sono altro che nostre costruzioni, elaborate con pochissima aderenza ai dati di realtà. In altre parole non sono altro che fantasmi e idoli, costruiti a nostro piacimento.
Mi pare che il Vangelo di oggi, nella sua disarmante semplicità, ci aiuti molto a vigilare e a lavorare sulle nostre sensazioni e sulle nostre emozioni, prima ancora che sulle nostre azioni concrete. Lì, infatti, nel nostro cuore e nella nostra mente nasce il nostro fratello, o il nostro nemico.
Pe. Marco