3131A costo di apparire eccessivamente polemico, non posso però non cominciare questa riflessione, sottolineando la gravissima forzatura del testo biblico, operata dai nostri liturgisti, tagliando i versetti finali della narrazione giovannea “Gesù allora disse: “Io sono venuto in questo mondo per giudicare, perché coloro che non vedono vedano e quelli che vedono diventino ciechi”. Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: “Siamo forse ciechi anche noi?”. Gesù rispose loro: “Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: Noi vediamo, il vostro peccato rimane”. Certamente, senza di loro, il testo acquista tutto un altro senso e non in meglio.
Come sempre succede, anche questo testo che va ben al di là del fatto storico realmente accaduto, contiene una miriade di riferimenti, ecclesiali e teologici, legati alle vicende della comunità di S. Giovanni. Approfondendo e dando continuità alla riflessione della scorsa settimana sul tema della “fede di Abramo”, mi sembra importante sostare un poco sulla dinamica: libertà-luce/verità soggiacente a questo cap. 9 di Giovanni.
Evidentemente questo cieco rappresenta la nostra condizione umana fondamentale, ovvero noi uomini siamo nati/posti nel mondo in una condizione di cecità strutturale, originaria. Eppure abbiamo degli apparati, sia fisici, che intellettuali, predisposti alla visione; ovvero la nostra più grande aspirazione e necessità è “poter vedere”, “sapere dove mettere i piedi e dove andare”, sia a livello fisico, ma soprattutto a livello spirituale e morale. Ecco allora che, prima ed al di là dei singoli aspetti toccati da questo brano, questa dicotomia sia il panno di fondo ed il messaggio fondamentale, da non perdere mai di vista.
In questo senso mi sembra veramente pericolosa la censura operata sugli ultimi versetti, da me riportati all’inizio della riflessione. Infatti in essi Gesù, seppur in modo drammatico, vuole mettere in guardia i farisei di tutte le epoche dal grave pericolo di pensare che noi, esseri umani, possiamo essere autosufficienti nel vedere, semplicemente perché abbiamo gli strumenti per “vedere”. La luce e la verità sono fuori di noi, non sono sotto il nostro dominio. Ciò obbliga a dover continuamente distinguere tra i dati di realtà ed i continui miraggi, illusioni ottiche, che la vita, sia fisica che spirituale, ci offre.
Questa semplicissima riflessione, che ai più può apparire molto teorica ed astratta, è invece alla base di ogni nostra relazione con la realtà, soprattutto con i nostri simili. E da questa dinamica non sfugge neanche quell’incontro tra Gesù ed i farisei. Ancora una volta questi uomini si rivolgono a Gesù, pensando di sapere già chi è e cosa pretende di fare. Non si mettono in un atteggiamento di ascolto e di ricerca, per distinguere e capire, chi Egli è realmente.
Ma questo è il passaggio decisivo, per loro e per noi. Se non siamo rigorosi nell’accettare questa nostra cecità di fondo nei riguardi degli altri, non possiamo neanche disporci a riconoscere ed accettare la verità che loro sono, ciò che sono realmente. A mo’ di esempio e pienamente consapevole delle mie cecità, mi piacerebbe, se potessi, raccontare le dinamiche della relazione tra me ed una persona della mia Comunità pastorale. Infatti questa persona, in una delle nostre prime chiacchierate, si meravigliò che non avessi uno stile di vita spartano, come il mio parroco. Da quel momento in avanti ogni mia scelta, o parola, viene da lei giudicata con quel filtro. Così, come disse una volta Gesù, “neanche se io risuscitassi dai morti crederebbe in me”.
Ma vorrei dedicare qualche riga anche all’atteggiamento dei genitori del ragazzo, che, purtroppo vedo molto presente in mezzo a noi, nella nostra realtà italiana, mentre, illusoriamente, l’attribuivo ad un fatto culturale brasiliano. A onore del vero non va dimenticato che sullo sfondo c’è la minaccia concreta della scomunica, ovvero dell’espulsione dalla comunità, per coloro che avessero accennato a qualche cedimento nei riguardi di Gesù. Ciò nonostante, se teniamo conto del legame affettivo e non solo, che univa quei genitori a loro figlio, ecco che il loro atteggiamento mette in luce un altro limite dell’animo umano, con il quale ci precludiamo l’accesso alla verità. E quando dico “la verità” non mi riferisco solo al fatto che loro hanno a che fare con la Verità, che è Gesù. La concretezza di quell’avvenimento smaschera drammaticamente la relazione profonda, che esiste tra i frammenti di verità del nostro quotidiano e la Verità, totale e definitiva, che è Gesù di Nazareth.
Infatti, questi genitori, pur avendo tutti gli elementi per, in qualche modo, incontrare la Verità, per paura, per mediocrità, per ipocrisia, per pusillanimità si nascondono dietro l’eterno “non so, non c’ero e, se c’ero, non ricordo”. Tanto per non parlare d’altri, se dovessi mettere per iscritto la gamma di atteggiamenti simili, di fronte alle mie vicende brasiliane, sicuramente potrei scrivere un altro libro… E non sto riferendomi solo agli atteggiamenti degli ecclesiastici! Purtroppo, questa massa di “uomini e donne senza volto”, o se volete con “uno, nessuno, centomila” volti non possono che finire con l’essere le masse da manovra per i populisti di turno, pronti ad offrire loro una identità da “discount”.
Ci conceda il Signore di aver sempre il coraggio di riconoscere la nostra cecità, ma, al tempo stesso, saper riconoscere ed accogliere quei barlumi di luce, che Lui mette sul nostro cammino.
Pe. Marcos