Inevitabilmente questa seconda domenica della nostra Quaresima ambrosiana non può che essere dominata da questo grandioso testo, detto della samaritana. Ovviamente la sua densità e complessità impediscono una riflessione dettagliata su di lui.
Andando un po’ per intuizioni, sottolineerei innanzitutto il contesto in cui avviene questo avvenimento dalle molteplici ricadute teologiche e pastorali: vicino al pozzo di Sicar, ovvero sulla piazza del paese, ovvero nello spazio più popolare, pubblico, sociale di quel villaggio. Questa annotazione, assolutamente ovvia e banale, vuole in realtà aiutarci, ancora una volta, a correggere certe nostre inveterate attitudini spirituali e pastorali. E le attitudini da correggere sono quelle che ci portano a credere che la Salvezza, nostra e altrui, si giochi dentro le nostre chiese ed i nostri oratori. Ma, ancora una volta, dobbiamo ripeterci che tutto ciò è una drammatica distorsione, o una facile fuga.
Certamente queste due realtà, come tutti i “nostri ambienti”, hanno e mantengono la loro funzione pedagogico-educativa potremmo dire. Anche Gesù ha frequentato il Tempio ed ogni giorno pregava all’inizio ed alla fine delle sue giornate. Ma tutto ciò era finalizzato alla testimonianza del Regno di Dio da portare… per strada. Ovvero, in tutti quegli ambienti dove si svolge la vita reale della gente, di coloro che ancora non hanno fatto esperienza del Suo Regno. Vorrei soffermarmi brevemente su questa annotazione, perché porta in sé una trappola quasi impercettibile.
Qui non si tratta di “calcolare” quanti minuti, o quante ore passiamo “in chiesa” e quante nel “mondo”, nella società. Al di là della questione temporale, l’inganno sta nel credere che il nostro divenire cristiani, la nostra Salvezza dipenda dal tempo dedicato alle iniziative intra ecclesiali. Da qui i detti popolari, secondo i quali “dobbiamo andare in chiesa, per prenderci cura della nostra anima, della nostra salvezza”. Conseguentemente, le nostre programmazioni pastorali e le loro conseguenti frustrazioni saranno tutte misurate su quanta gente saremo riusciti ad attirare nei nostri ambienti.
Ripeto, certamente i momenti intra ecclesiali sono fondamentali, perché propedeutici e pedagogici nella nostra vita di fede. Ma il tutto dovrebbe avere come fine ben chiaro il nostro testimoniare il Regno di Dio ne vari ambiti della vita reale della gente. Quindi è estremamente pericoloso, quando certuni cattolici fanno notare il tanto che sono inseriti nella vita sociale, magari anche con ruoli ed incarichi di assoluto rispetto. Ma in realtà il punto decisivo è come siamo inseriti nella vita e nella società.
Gesù non crea una situazione “ad hoc” per evangelizzare la samaritana. Gesù vive questa situazione quotidiana, il sedersi, l’attingere l’acqua, il bere come occasione per rendere presente, tangibile, il Regno del Padre a questa donna abbondantemente sfruttata dai suoi sei uomini (non dimentichiamo che, all’epoca, chi decideva se sposarsi o divorziare erano solo gli uomini…). Addirittura, Gesù è tanto preoccupato di parlare al cuore di quella donna, da accettare anche di camminare sul filo di una certa ambiguità affettiva (vedi la sorpresa dei discepoli al loro ritorno v. 27), pur di entrare in una comunicazione reale, meglio ancora vitale, con lei. Lì, in quelle situazioni reali e concrete, il Regno è testimoniato e sperimentato e la Liberazione si realizza, grazie alla libera risposta della donna.
Ecco, in tutto questo dinamismo vitale, reale, non fittizio, non artificiale, esprime meravigliosamente qual è il senso ed il compito della Chiesa, di noi cristiani battezzati nello Spirito del Signore Gesù: stare nel mondo e nella società, come singoli o di forma organizzata, ma con lo stesso stile, con la stessa passione di Gesù.
Ecco allora, che con un volo pindarico, possiamo ricongiungerci con la finale di questo Vangelo con l’imperiosa professione degli abitanti di Sicar, che in realtà non sono altro che la comunità dell’evangelista Giovanni: “Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo”. La samaritana, di fatto, è stata la prima “apostola” nel Vangelo di Giovanni, perché ha condotto gli abitanti di Sicar a Gesù. Ma questo deve essere il compito e lo stile di ogni discepolo di Gesù, di ogni cristiano: portare chi è lontano ad incontrare Lui; poi ciascuno deciderà in libertà che risposta dare al Signore Gesù.
Pe. Marco