Prima di entrare nel merito dei brani che ci vengono proposti per questa domenica, vorrei condividere con voi il mio stato d’animo nel meditare questi testi, dentro questo momento storico, che ci ritroviamo a vivere.
Tra me e me dicevo: “Ma insomma, anche per questa domenica dovrò parlare di stranieri nella predica! (Tenete conto che domenica scorsa al centro del Vangelo c’era un centurione romano…) Non sarà una mia malformazione professionale!”.
Mi sono riletto più volte i testi, ma non c’è via di scampo: sia il testo di Isaia, che il Vangelo, sottolineano come per JHWH ciò che conta non sono le differenze etniche, bensì l’accoglienza/risposta alla Sua Parola.
Dal momento che questi testi non sono stati scelti tenendo conto della nostra congiuntura socio-culturale, il loro peso risulta ancora maggiore. Mi viene allora da pormi un’altra domanda: come mai, se la Parola di Dio è così chiara e tassativa rispetto a qualsiasi tentazione razzista e xenofoba, come mai abbiamo fatto crescere nelle nostre comunità cristiane così tanta gente, che pensa di conciliare la fede in Gesù con posture razziste? Che Vangelo abbiamo annunciato?
Entrando più nel merito dei singoli testi vorrei sottolineare la prospettiva, potremmo dire, evangelica della prima lettura. Infatti, la sua apertura universalistica non ha nulla da invidiare a passaggi simili del Nuovo Testamento “Agli eunuchi che osservano i miei sabati… e restano fermi nella mia alleanza, io concederò… un nome più prezioso che figli e figlie. Gli stranieri, che hanno aderito al Signore per servirlo e… restano fermi nella mia alleanza, li condurrò sul mio monte santo”.
Nel Vangelo, innanzitutto, va sottolineata la preoccupazione di Luca nel mettere a fuoco la risposta salvifica di questo straniero: un samaritano. Certamente l’evangelista voleva mostrare alla sua comunità, prevalentemente composta da pagani, che la Salvezza non dipende da prerequisiti giuridico-religiosi (essere ebreo o meno, essere battezzato o meno…) bensì dalla risposta concreta, che noi diamo, all’irruzione di Gesù nella nostra vita.
Mi vengono alla mente in questo momento alcune polemiche sentite in questi giorni, a seguito del grande incontro tenutosi ad Abu Dhabi tra Papa Francesco e l’Imam di al-Azhar, con il conseguente stupendo documento su “La fraternità universale”. Purtroppo queste tristi figure, che non capisco cosa abbiano a che vedere con la fede cristiana, hanno trovato da ridire sul fatto che il Papa non nomini mai il nome di Gesù lungo l’intero documento; neanche stesse dando una lezione di catechismo a dei ragazzi della Prima Comunione. Invece è meravigliosamente bello contemplare come i principali valori evangelici siano stati condivisi con questa grande religione mondiale, l’Islam, perché sono stati ritrascritti in un linguaggio da loro condiviso.
Fermo restando la sfida di mettere in pratica quanto testo, è però evidente che questa prospettiva pratico- esistenziale apre molte più prospettive d’incontro e di comunione, che non una prospettiva rigorosamente teologico-giuridica. Ma la questione per me diventa ancora più inquietante, se penso che, per noi cristiani, questa è la vera prospettiva evangelica. Infatti Gesù ci ha già detto inequivocabilmente che il giudizio sulla nostra vita si giocherà sui nostri stili di vita e non su ciò che pensavamo della fede, o su ciò che celebravamo. Il cap. 25 del Vangelo di Matteo non lascia dubbi al riguardo.
Mi pare che da questo punto di vista le nostre comunità cristiane siano ancora troppo inchiodate su questione formali, o celebrative, ma incapaci di sviluppare, innanzitutto al proprio interno, un confronto, trasparente ed evangelico, sui nostri stili di vita. Questo sarebbe certamente il primo passo, per poi poter dialogare con tutti gli uomini e le donne di buona volontà, che si riconoscono in questi valori e nelle scelte conseguenti.
Ancora una volta non posso non sottolineare come su questa distorsione giochi un peso decisivo la visione distorta, o perlomeno limitata, del Regno di Dio. Nella nostra religiosità occidentale questo tema centrale per la predicazione di Gesù è troppo ridotto alla vita ultraterrena. In questo modo gli appelli ed i riferimenti di Gesù a questa realtà vengono proiettati quasi pressoché sull’al di là.
Penso invece che se tutta la nostra azione pastorale fosse rivolta, come dovrebbe essere, alla costruzione del Regno, allora certamente gran parte delle problematiche qui citate cadrebbero per conto proprio.
Che il Signore ci conceda questa grazia!
Pe. Marcos