Il testo evangelico di questa domenica è un esempio significativo della teologia marciana, che ha tra i suoi capisaldi l’azione miracolistica di Gesù. Per Marco, più che per gli altri evangelisti, i miracoli sono segni distintivi dell’identità profonda di Gesù; così come il demoniaco è una realtà fortemente presente nella vita dei personaggi marciani.
Innanzitutto vorrei richiamare l’attenzione sul primo verbo del Vangelo di oggi: li costrinse. Mi chiedevo: perché Gesù li costringe a salire sulla barca per raggiungere l’altra riva? Probabilmente perché è preoccupato per la loro stanchezza: essi infatti sono reduci dalla loro prima missione e dalla prima moltiplicazione dei pani e dei pesci, che li ha coinvolti nella distribuzione degli stessi alla folla. Ma sembra anche che Gesù voglia sottolineare il suo rapporto personale con la folla, che è unico e che i discepoli non potranno mai sostituire.
Ma forse vi è una terza ragione, ben più profonda di queste due: abituare pedagogicamente i discepoli ad affrontare “il mare della vita”, senza poter contare sulla sua presenza fisica. E qui succede addirittura il paradosso: la Sua strana presenza viene addirittura fraintesa con quella di un fantasma. Certamente non è normale che uno cammini sulle acque. D’altro canto, come annota l’evangelista, Lui aveva già moltiplicato i pani ed i pesci; in altre parole Lui aveva già fatto dei miracoli; eppure fanno fatica a credere in Lui, nella Sua presenza e nella Sua benevolenza, che si prende cura di loro. Fanno fatica a credere che JHWH, nella Sua onnipotenza e nella Sua magnificenza, sia così prossimo e così attento alle loro banali vicende quotidiane.
Paradossalmente continuano ad affidarsi ai loro sensi fisici e, peggio ancora, ai loro istinti ed alle loro emozioni, che inesorabilmente buttano loro in faccia la loro impotenza, la loro limitatezza, la loro povertà in quella traversata, che assomiglia drammaticamente al nostro vivere quotidiano. Ciò nonostante preferiscono affidarsi all’inconsistenza della loro fragilità, piuttosto che alla potenza della fede in Lui. E sì che li aveva già richiamati in Mc 4,40 in un frangente molto simile all’attuale.
Ecco, in questo quadro emblematicamente dipinto da San Marco troviamo raffigurato plasticamente quanto San Paolo ci dice con un linguaggio più teologico. Infatti, in questa vicenda del Vangelo si vede concretamente cosa sia quella contrapposizione tra l’umanità “carnale” e l’umanità “risorta”, l’umanità “spirituale”, tanto cara a San Paolo. Però, di fronte a questa terminologia paolina, dobbiamo sempre stare attenti a quelle pericolose riduzioni, che tanto male hanno fatto alla vita cristiana. Infatti, se da un lato la carne non può essere ridotta ai piaceri sensuali; dall’altro lo spirituale non è contrapposto ed in contrasto con la nostra corporeità, la nostra fisicità.
Carnale e spirituale per San Paolo indicano due modalità antitetiche di guardare la vita e la realtà; sono due prospettive di vita in radicale contrasto tra di loro. Certo però è che entrambe le prospettive riguardano la persona nel suo insieme, coinvolgono la persona nella sua globalità: materiale e psicologica.
Ecco allora che l’uomo carnale è colui che si affida ai suoi sensi fisici ed alle sue emozioni. Per lui la realtà è quello che vive e percepisce attraverso di essi ed in essi cerca la risposta a tutti i suoi problemi. Chi vive così non può che cadere in un circolo vizioso, che lo porta alla “morte”. Infatti, se è vero che i sensi e le emozioni ci danno la prima, potente percezione, di tutto ciò che ci attornia; è anche vero che loro non possono darci le soluzioni dei problemi, perché non ci sanno dire perché avviene “questo” o “quel” fenomeno. I sensi e le emozioni ci danno una prima, superficiale percezione del reale, ma non sanno dirci come affrontarlo, gestirlo, trasformarlo.
L’uomo “spirituale” è colui che riconosce innanzitutto di avere lui una dimensione “spirituale”, ovvero non riduce la sua vita ai suoi sensi ed alle sue emozioni. Non solo, ma constatando le sue molteplici limitazioni, si affida allo Spirito di Gesù, per capire meglio la realtà e per sapere come muoversi in essa. L’uomo “spirituale” rifiuta ogni autosufficienza ed ogni atteggiamento orgoglioso, perché è profondamente consapevole della sua precarietà ed ha deciso di affidarsi, di lasciarsi guidare, di lasciarsi condurre dallo Spirito di Gesù. Questa è la forza, che lo sostiene e lo conduce; al di là di ciò che gli dicono i sensi e le emozioni.
Mi permetto di riprendere brevemente quest’affermazione: Spirito di Gesù, perché temo venga fraintesa in senso spiritualistico. Lo Spirito di Gesù ovviamente è lo Spirito Santo. Questa specificazione “di Gesù” vuole sottolineare che lo stesso Spirito Santo, che ha illuminato e condotto tutte le scelte di Gesù, è donato anche a noi, per fare nell’oggi lo stesso tipo di scelte, di opzioni, fatte da Gesù. In una parola, per vivere come Gesù. Ciò è possibile ascoltando la voce della nostra coscienza, illuminandola con la Parola che Gesù ci ha lasciato
Mi fermo qui per non rendere troppo analitica e meticolosa questa semplice riflessione. Vorrei però, prima di concludere, fare qualche semplicissimo rimando alla nostra realtà attuale. Infatti, nel nostro contesto occidentale e nella produzione culturale, con la quale stiamo colonizzando il pianeta, pare che l’essere umano, se da un lato fa sempre più fatica a riconoscersi e ad affidarsi alla sua dimensione spirituale, dall’altro confida sempre più ciecamente all’irruenza impetuosa dei suoi propri sensi e delle su emozioni più istintive. I frutti di questa deriva animalesca mi pare siano sotto gli occhi di tutti e non necessitano di ulteriori descrizioni. Mi permetto solo di far notare la spirale sempre crescente della relazione: deriva animalesca, aumento della paura; aumento della paura, reazioni istintivo/animalesche.
Pe. Marco