Pur consapevole di ripetere un dato già acquisito, non penso sia inutile ricordarci che questo testo delle nozze di Cana non è focalizzato sul tema del matrimonio. In realtà, questa vicenda matrimoniale è solo un’occasione per la comunità giovannea, per scorgervi tutta una serie di significati cristologici. In altre parole, i fatti occorsi, durante quella festa di matrimonio, hanno rivelato all’evangelista alcuni dettagli su Gesù e la sua missione messianica. Quindi, anche solo queste poche battute ci fanno intuire il carattere altamente simbolico di tutto ciò che è narrato in questo brano.
La prima semplicissima annotazione, che io vorrei fare, riguarda la partecipazione di Gesù alla vita reale delle gente; addirittura qui ci troviamo in un contesto festivo e di semplicissima allegria umana. Ma, a differenza di tanta nostra spiritualità alienata, non vive questo momento come una fuga dai momenti seri e santi della sua vita. Voglio dire che per Gesù questo non è un momento di cedimento mondano, a fronte di un’altra vita parallela, fatta di preghiere interminabili e vuote, di rinunce fine a sé stesse e di azioni cultuali prossime alla magia. Gesù sa che tutto viene dal Padre; perciò tutto può riportarci a Lui, se vissuto in obbedienza alla sua Parola. Ciò significa che, normalmente, non c’è bisogno di fuggire dal mondo per incontrare il Padre. Si tratta piuttosto di riconoscerlo e di testimoniarlo dentro le vicende quotidiane della vita. E infatti, come in questo caso, la vita ha sempre i suoi imprevisti ed è proprio lì, negli imprevisti e nei passaggi più difficili, che siamo chiamati a testimoniare la differenza cristiana, che siamo chiamati ad essere segno, come Gesù, della benevolenza del Padre.
Anzi, approfondendo questa chiave di lettura, attraverso la simbologia delle sei anfore, chiaro riferimento all’incompiutezza dell’umano (l’uomo può arrivare fino a sei, ma non arriva al sette, simbolo della perfezione divina) dicevo, attraverso questa simbologia Giovanni vuole ricordarci la nostra strutturale incompiutezza, imperfezione, carenza, che solo Gesù può completare e superare. Ovviamente questa annotazione non va letta solo in chiave personale e individualista: io ho bisogno di Gesù sempre. Questa verità della vita umana è la radice profonda dell’azione missionaria della Chiesa: tutto ciò che è veramente umano ha strutturalmente bisogno di Gesù di Nazareth, ha bisogno d’incontrare Gesù, soprattutto quando non ne vuol sapere di Lui. Per questo motivo ogni vero credente non può dribblare le sue responsabilità missionarie, dietro il facile pretesto della libertà altrui, del “non ne vogliono sapere di Gesù”.
Certamente quest’ultima questione, della necessità di Gesù per ogni essere umano, non è cosa semplice da tradurre in una convincente azione missionaria. D’altro canto, però, è pur vero che noi, sedicenti cristiani, ci mettiamo del nostro nel rendere irrilevante Gesù agli occhi di chi non crede, oppure ha una fede piuttosto nebulosa.
Infatti Maria, di fronte all’imprevisto della mancanza di vino, manda “a fare ciò che Lui vi dirà”, manda ad obbedire alla Sua Parola e nient’altro. La nostre comunità cristiane, soprattutto qui in Italia, ma anche in Brasile, il più delle volte ripetono come automi riti e gesti religiosi, ma molto raramente riescono a creare le condizioni per rispondere alla domanda: di fronte a “questa” situazione, che cosa ci dice il Signore Gesù? Che cosa c’insegna il Suo Vangelo? Che cosa dobbiamo fare per risolvere questa sfida alla luce del Vangelo? Forse a livello personale è più facile trovare dei battezzati, che cercano di vivere in questo modo. Ma a livello comunitario vedo una grandissima carenza di questa prospettiva spirituale e pastorale.
È ovvio che, stando così le cose, abbiamo un bel dire poi, quando dichiariamo che ogni uomo/donna ha bisogno d’incontrare Gesù, ha bisogno di Lui per vivere una vita piena ed autentica.
Eppure solo con Lui possiamo avere il vino migliore e la festa della vita può essere veramente piena.
Pe. Marco