Questo versetto della Lettera agli Efesini ci offre sicuramente il profilo sintetico e la chiave di lettura, dalla quale rileggere, non solo le letture di questa domenica, ma, anche e soprattutto, la nostra identità cristiana più profonda.
Prima, però, di soffermarci sullo specifico cristiano, è bene rileggere la prima lettura. Questo brano del Terzo libro del profeta Isaia, scritto almeno quattro secoli prima della nascita di Gesù, porta in sé tratti universalistici, che, purtroppo, erano stati quasi del tutto abbandonati dal giudaismo del tempo di Gesù. Sarebbe interessante ripercorrere con più calma, come la Parola di Dio riesca ad attraversare la storia del Popolo d’Israele e della Chiesa, nonostante le maglie ed i rivestimenti culturali tentino di imbrigliarla ed ammansirla, secondo i nostri schemi umani.
In particolare Israele, che fu scelto da JHWH proprio a causa della sua condizione di minorità e di schiavitù, ebbene impercettibilmente, ma inesorabilmente, Israele aveva trasformato la sua elezione in privilegio. Pertanto le Legge ed i riti, una per tutti la circoncisione, da celebrazioni riconoscenti dell’Alleanza con JHWH, si erano trasformate in motivo di vanto e di distinzione orgogliosa dal resto dell’umanità. In questo percorso l’appartenenza al Popolo di Dio non era più motivo di gioia e ringraziamento, eventualmente da condividere con chi ne apprezzasse i valore. Tutt’altro; infatti era divenuto motivo di cui orgogliarsi davanti a Dio e per guardare con disprezzo e superiorità, chi non portava in sé il sangue di Abramo.
Dentro questa deriva storica di Israele possiamo allora capire la resistenza e l’ostilità di buona parte di quel popolo nel lasciarsi sorprendere dalla visita del Figlio di JHWH. Infatti la Liberazione era già avvenuta. Bastava aderirvi magicamente attraverso la circoncisione e la celebrazione annuale della Pasqua. Per questo motivo non sono interessati a quel banchetto evangelico.
Invece il progetto di JHWH era ben altro. Infatti Lui, fedele fino in fondo alla sua compassione senza limiti, aveva scelto Israele esattamente perché oppresso ed insignificante rispetto alle potenze dell’epoca. Israele, da parte sua, una volta conquistata la sua Liberazione, era chiamato ad essere un segno per gli altri popoli. Costruendo una società giusta e fraterna ed obbedendo alla Legge di JHWH, doveva mostrare a tutti la possibilità di una società, che non riproducesse le stesse strutture oppressive esperimentate in Egitto. Israele, Gerusalemme, Sion sono la città sul monte, a cui tutti i popoli accorreranno, perché lì regna la Pace frutto della Giustizia.
Gesù è venuto per riprendere questo filo rosso e la proposta del Regno di Dio ne è la cifra sintetica; le Beatitudini sono il cammino per farne parte. Ecco allora che in Gesù, come ci ha detto S. Paolo, ogni distinzione e differenza decade, o diventa irrilevante. Ora ciò che conta è la nostra risposta a Lui ed al suo Vangelo. Questo è l’unico criterio discriminante, che, a conti fatti, non spetta neanche a noi giudicare: è cosa assolutamente personale di ciascuno di noi davanti a Lui.
Eppure, rileggendo questi testi di oggi, non possiamo lasciarci inquietare dal come, ancora una volta, abbiamo sepolto la Parola di Dio e la sua forza liberatrice sotto montagne di leggi e tradizioni umane, troppo umane. Ovviamente noi non dobbiamo avere nessuna ostilità previa contro ciò che l’umanità pensa ed elabora. Il problema appare, quando noi cristiani perdiamo di vista quella riserva critica, che ci viene dal Vangelo di Gesù, con la quale possiamo valutare e discernere il bene ed il male presente in tutto ciò che l’umano produce. Il problema è quando i costumi e le tradizioni dei popoli, coi quali viviamo, diventano criterio per giudicare selettivamente il Vangelo. In questo modo finiamo per scegliere e privilegiare aspetti marginali, o non essenziali per il contesto in cui siamo posti. Così ci ritroviamo tragicamente ad incarnare oggi, ciò che Gesù rimproverava ai farisei di sempre: “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pagate la decima della menta, dell’anèto e del cumìno, e trasgredite le prescrizioni più gravi della legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà. Queste cose bisognava praticare, senza omettere quelle” Mt 23,23.
Come sempre fare degli esempi è rischioso e richiede tempo e spazio per spiegarli. D’altro canto non posso tralasciare di citarne uno accaduto proprio in queste festività dedicate ai nostri Santi e ai morti. In una delle parrocchie della mia Comunità pastorale, dopo la Messa di Ognissanti siamo andati in processione al cimitero, dove ho dovuto benedire meticolosamente tutti i viali. Sembrava quasi che, se non fosse caduta una goccia di acqua santa su qualche tomba, l’intera celebrazione sarebbe stata invalida. Il giorno dei morti, durante la predica ho ricordato il cap. 25 di Matteo, per non creare paure inutili ed aleatorie sul nostro incontro finale con il Padre. E così, per dinamizzare la predica, ho invitato a ripetere a voce alta quelle che poi sono diventate le Opere di Misericordia corporali. Chissà perché, lentamente, le hanno citate tutte, tranne una…
pe. Marco