Indubbiamente la liturgia della Parola di questa domenica ruota attorno alla figura di Giovanni Battista, il precursore di Gesù di Nazareth, riconosciuto e proclamato Messia ed Figlio di Dio dai suoi discepoli, come recita l’inizio del Vangelo di Marco.
In questo tempo d’attesa, che è l’Avvento, mi sembra che il brano evangelico selezionato voglia condurci a imitare la spiritualità dell’attesa di Giovanni, più che soffermarci sui contenuti della sua predicazione.
Indubbiamente spicca la sottolineatura di Mc circa tema del deserto, citato ben due volte. Parlare di deserto nell’ambito veterotestamentario significa parlare di uno dei temi fondamentali per la fede d’Israele e, certamente, Mc non lo cita a caso.
Il deserto biblico è inequivocabilmente il deserto attraversato durante l’esperienza dell’Esodo. La drammaticità e l’essenzialità di quell’esperienza fece sì che, fin da subito, la fede d’Israele la eresse a paradigma dell’andare del credente lungo i sentieri della Storia. Il deserto è il luogo delle condizioni estreme, della necessaria essenzialità in vista della sopravvivenza; ma immediatamente la prova fisica diventa prova spirituale, fino ad essere occasione di tentazione. Ma, se la prova è stata occasione di rivolta e di caduta, è pur vero che Israele ha esperimentato la Misericordia di JHWH ed il dono della fedeltà nonostante tutto. Per tutte queste caratteristiche, altamente simboliche, grazie soprattutto alla letteratura profetica, il deserto rimarrà nella coscienza d’Israele il luogo dove Israele ha vissuto il meglio della sua esperienza con JHWH, il luogo del fidanzamento e delle passioni più vere e più forti. Per questo motivo, soprattutto i profeti, richiamano ad Israele la necessità di “ritornare” nel deserto, tutte le volte che il Popolo si allontana dagli ideali dell’Esodo.
Per tutto ciò il Battista va nel deserto. E ci va, innanzitutto, perché anche lui attende il Messia e non sa esattamente chi è e dove sia. E allora si mette nelle condizioni ideali per vivere quest’attesa: il silenzio e l’essenzialità. Ma a queste condizioni sono invitati tutti coloro che con il Battista vogliono prendere sul serio l’attesa del Messia. Non sarà forse questo anche il nostro caso? Ma come ritornare al silenzio ed all’essenzialità, senza cadere in quel rituale annuale di condanna ed assoluzione del consumismo e del materialismo, che perseguitano tutti noi?
Eppure non possiamo non lasciarci inquietare dalla forza attrattiva del Battista. Certamente qui ci troviamo di fronte ad uno degli esempi più significativi, che attesta quanto Papa Francesco viene ripetendo da “Evangelii Gaudium” in qua: l’evangelizzazione avviene per la forza attrattiva della Comunità dei testimoni del Risorto e non per grandi campagne di proselitismo.
Ecco allora che l’insistenza sulle condizioni in cui viveva Giovanni, più che indulgere al sensazionalismo, vuole rimarcare la sua tensione estrema, a liberarsi da tutto ciò che potrebbe pregiudicare l’ascolto ed il riconoscimento del Messia in arrivo. La posta in gioco è così grande, che nulla gli può essere anteposto.
Pur con un percorso totalmente diverso, Isaia invita Israele ad essere sé stesso fino in fondo, a non lasciarsi spaventare e sedurre da accordi spuri con le potenze e le culture circostanti. La fedeltà al Dio degli eserciti, conosciuto durante l’Esodo, renderà Israele significativo anche nei confronti di due realtà nettamente più potenti di lui: l’Egitto e l’Assiria. Addirittura, se Israele si affiderà a JHWH e alla sua Legge, avverrà ciò che nessuno avrebbe mai immaginato: “In quel giorno ci sarà un altare dedicato al Signore in mezzo alla terra d’Egitto e una stele in onore del Signore presso la sua frontiera: sarà un segno e una testimonianza per il Signore degli eserciti nella terra d’Egitto.”; ovvero Israele diventerà significativo anche per i suoi peggiori nemici: i potenti egiziani.
Tutto ciò non può che interrogarci in questa epoca di secolarismo dilagante e di allontanamento dalla Chiesa, soprattutto nei territori di più antica presenza cristiana.
Pur riconoscendo il peso dei media nel far conoscere e divulgare le molte testimonianze cristiane attuali, mi pare che la nostra irrilevanza non dipenda, soprattutto, da una insufficiente visibilità mediatica. Mi sembra invece che, il non voler mettere rigorosamente a tema il cristianesimo “à la carte” oggi imperante tra i battezzati, faccia sì che la Chiesa sia sempre meno collegata con Gesù ed il suo Vangelo. Certamente è ancora il luogo dove più si narrano le sue vicende. Ma il tutto non passa di una narrazione biografica e letteraria. Poco o niente a che vedere con la testimonianza, riservata da sempre a coloro che si assumono la responsabilità di dirsi suoi discepoli.
Ancora una volta Il Battista c’invita a ritornare nel deserto, pena la nostra inesorabile insignificanza.
Pe. Marco